Ultima modifica 20 Giugno 2019
Ecco, ci siamo di nuovo.
Prove Invalsi a ore 12 per la scuola primaria.
Non è facile affrontarle per diversi motivi: il contesto inusuale, la posizione fredda dei banchi, la lontananza dagli insegnanti, il tempo di lavoro delimitato in modo così prepotente rispetto al solito.
Sono ancora piccoli, soprattutto in seconda primaria e un po’, quel giorno, ci fanno tenerezza dai.
Forse alcuni genitori avranno buttato un occhio sulle prove degli anni passati messe on line, oppure si sono trovati a leggere quelle assegnate per compito a casa.
Diciamo che, parlando di matematica, non sono problemini o operazioni da calcolare gratis; ogni esercizio ha diverse monete da pagare: una di lettura veloce, attenta e consapevole, una di conoscenza profonda dei numeri, una di grande disposizione alla riflessione e alla rielaborazione sulle proprie conoscenze.
Un po’ come se ti dessero gli ingredienti per inventare una buona ricetta e non puoi fare le prove.
O lievita o niente.
Ci sembrano richieste troppo alte per loro? Forse lo sono.
Troppo alte anche rispetto alla scuola che abbiamo frequentato da bambini? Forse sì.
Ma è un fatto che i bambini debbano affrontarle.
Come genitori dobbiamo rasserenarli e dire che, come ogni prova, va affrontata con impegno per quello che si può. Quando e se hai dato il massimo, devi stare tranquillo.
Quando e se hai fatto del tuo meglio, puoi uscire col sorriso.
Tornando alle prove, c’è comunque qualcosa che non torna e ciò riguarda l’intera comunità scolastica… non solo chi insegna. Come genitori sapete che le Indicazioni Nazionali del 2012 pretendono e attendono velocemente un cambio di rotta nell’insegnamento della matematica?
Solo un riferimento: Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione si dedica molta attenzione alla matematica come strumento per operare nella realtà e si invita esplicitamente a evitare di ridurre le conoscenze matematiche a un insieme di regole da applicare per risolvere problemi standardizzati (dal QdR delle Prove Invalsi 2017).
Chi cambia il proprio metodo lo fa in base ad una precisa indicazione che viene dal Ministero, non perché se lo inventa.
E le prove Invalsi sono la verifica di un percorso sicuramente ben pensato… certo.
Ma in questo procedere, c’è un anello rotto e la prova è che, dalla maggioranza degli insegnanti, l’Invalsi viene percepito come un asettico quiz.
Questo vuol dire che le due realtà, Indicazioni e Invalsi, che dovrebbero essere consequenziali, ancora non lo sono.
I libri di testo che puntualmente arrivano a maggio per essere scelti sembrano un’imbarazzante partita a ping pong tra didattica tradizionale e quesiti Invalsi.
Anzi, arrivando con libricini Invalsi al seguito, sembrano proprio indicare due percorsi avulsi l’uno dall’altro.
Come a dire “fai tranquillamente matematica come sempre, ma ricordati che poi ti devi allenare per l’Invalsi.
Ma che messaggio è?
Voglio solo dire che la prima cosa che ho fatto per preparare i miei bambini all’Invalsi è nonusareillibro.
Dare schemi è esattamente l’opposto dell’Invalsi. Non va bene no?!
Ma perché?
Voglio dire: Il Ministero fornisce indicazioni esatte, stimola con corsi di formazione all’avanguardia, verifica giustamente i percorsi fatti… ma forse non controlla gli strumenti?
Il libro di testo, diciamolo, è ancora un veicolo importante, ma deve essere in grado di supportare i cambiamenti… anzi, se proprio lo vogliamo dire, dovrebbe promuovere il cambiamento.
La matematica, se è una cosa seria, deve avere organicità negli intenti e negli strumenti! Io, anno dopo anno, sono arrivata alla conclusione che l’unica cosa da fare, è non adottarlo… ma è giusto?
Poi un’altra cosa: visto che i primi traguardi scritti nelle Indicazioni sono alla fine della terza, perché allora non fare le prove in questo momento didattico? Sembra messo lì apposta. No? Sembra così fuori luogo un’idea del genere?
Anche questo sarebbe un segnale di coerenza per gli insegnanti.
Voglio dire: i nostri obiettivi sono scadenzati alla terza e alla quinta primaria…perché le prove in seconda?
Credo di non essere l’unica a chiedere coerenza, organicità e sequenzialità, anche per i bambini che si trovano prove , parliamoci chiaro, adeguate più alla terza che alla seconda.
Non per niente, come alcune colleghe mi fanno notare, L’Invalsi propone quesiti che, come tipologia, corrispondono al Rally Matematico Transalpino, una famosa e bellissima gara matematica annuale che accetta classi dalla terza primaria in su. Alzare l’asticella va bene, sempre. Basta non esagerare però.
Dicono che l’organizzazione Invalsi costi tanto allo stato.
Allora rendiamola più vicina alla scuola e anche più educante e formante per gli insegnanti, visto che la valutazione deve essere formativa… perché ora come ora viene percepita per lo più come una spada di Damocle che giudica e basta. In fondo non c’è dietro un sistema coerente e motivante.
Certe “finezze” gli insegnanti di matematica in formazione, le sentono.
Comunque, in bocca al lupo ai miei bimbi e a tutti i bambini d’Italia che il 3 e il 5 maggio saranno sulle prove..a testolina bassa. Noi, come tutti, abbiamo provato a fare del nostro meglio.
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Ché dire di questa disamina puntuale, onesta, coerente, sapiente? Nulla da aggiungere, non c’è una virgola fuori posto. Ci sono, invece, tante virgole, e anche tanti punti, fuori posto nella scuola di oggi. La si voleva “Buona” questa Scuola, e poteva esserlo o diventarlo … Purtroppo, evidentemente, chi richiede a un bambino di 7 anni di dimostrare conoscenze e capacità tali da essere diventate già “competenze”, beh … manca “lui” stesso di competenze. E anche di conoscenze.
cara Ylenia, purtroppo in Italia il pubblico non si rende conto del fatto che queste prove sono solo il primo passo verso la completa standardizzazione dell’apprendimento secondo un modello che e’ gia’ applicato da anni negli USA in Inghilterra e in Olanda. Io vivo in Olanda da anni e ho visto che ad essere standardizzata non e’ solo la valutazione, ma tutta la didattica (come dicono gli Inglesi, il “teaching to the test”). La digitalizzazione aumenta a dismisura la tendenza verso un sistema a “punti” dove tutti i “dati” prodotti dagli alunni con test standardizzati (sempre piu’ in app e “piattaforme” come Google education) saranno interpretati da software che non solo indicheranno agli alunni i risultati, ma prescriveranno loro i compiti e prediranno le loro prestazioni future. Una “profilazione” che serve come selezione in partenza, preventiva (come spiega Ben Williamson in “Big Data in Education”). In Olanda i test servono a vautare in un sol colpo paese, scuola, studenti e insegnanti. Sulla base di questi test (e test di intelligenza) si assegna la scuola superiore ai ragazzi. Questo non e’ strano nella tradizione olandese, ma va contro tutti i principi pedagogici che hanno caratterizzato la nostra scuola. Gli appelli di pochi professori universitari di pedagogia come Benedetto Vertecchi non vengono compresi appieno perche’ pochi conoscono i sistemi di questi paesi. Io raccolgo materiale in proposito su Twitter #bigdataineducation. Non sono contro i test per principio, ma contro questo modello di scuola si’.
I rischi cui accenna Marina di un uso ‘anglosassone’ dei test vanno presi sul serio se solo si pensa alla logica che sta alla base degli articoli di molti commentatori che gridano al declino della scuola, senza conoscerla e avendo come unico modello quella da loro frequentata in gioventù, quando la selezione tra chi doveva continuare gli studi e chi doveva avviarsi al lavoro si realizzava molto presto (a 11 anni – 1959 – ho dovuto sostenere “l’esame di ammissione” per potermi iscrivere alla scuola media anziché all’ “avviamento” di durata triennale!). Non sono da meno molti politici, che a parole considerano l’innalzamento dei livelli di istruzione un fattore di crescita anche economica ma nei fatti non investono risorse per migliorare la scuola. Benedetto Vertecchi: un nome che ne evoca molti altri, impegnati nella ricerca didattica per definire orientamenti utili a una scuola divenuta ‘di massa’ in tutti i paesi industrializzati (era presidente di commissione agli orali quando ho fatto l’ultimo concorso e di lui ricordo in particolare un articolo in cui demoliva l’idea dell’utilità delle bocciature “per recuperare”). E gli insegnanti? Semplificando, si possono ricondurre alle tre categorie accennate. Alcuni, come gli opinionisti, si lamentano degli alunni sempre più distratti, svogliati e delle ‘pretese’ dei genitori. Altri, come i politici, condividono a parole qualsiasi discorso innovativo ma lo banalizzano riducendolo a “ciò che, in fondo, si è sempre fatto”. Altri, infine, si rendono conto della necessità di confrontarsi con ciò che la ricerca ha validato negli ultimi 3-4 decenni e si impegnano a modificare in questa direzione la propria attività con gli alunni. Fortunatamente questi ultimi sono in aumento, anche se non hanno sempre vita facile con genitori, colleghi e dirigenti poco propensi all’innovazione. In un ‘mondo’ così variegato non sorprende che le anche le prove INVALSI siano viste in modo molto diverso e non meraviglia neppure che degli ‘sfasamenti’ rispetto alle Indicazioni Nazionali sembra che ‘in alto’ non si abbia consapevolezza. PERO’, al netto della interpretazione distorta di marca anglosassone e dei difetti giustamente segnalati da molti, il ‘rifiuto’ di queste prove spesso maschera una resistenza all’innovazione che non si ha il coraggio di dichiarare in modo esplicito. La critica è benvenuta, non solo consentita. L’ostruzionismo è deleterio e inaccettabile, soprattutto se praticato da insegnanti.