Ultima modifica 19 Ottobre 2018
Avete visto l’ultima campagna pubblicitaria dell’associazione pro-vita contro l’utero in affitto?
Beh, siccome non voglio foraggiare utenti a favore di queste associazioni vi linko invece la pagina di risposta de L’Espresso.
E non per appartenenza politica. Semplicemente perché ci sono le risposte di ragazzi di famiglie arcobaleno. Alcuni di loro magari nati attraverso l’utero in affitto. E le loro risposte basterebbero a zittire quelli di Provita.
Se pensate che sia a favore tout court di utero in affitto, aborto, unioni gay e tutte queste cose radical chic vi sbagliate. Almeno in parte.
Semplicemente credo che una discussione come quella dell’utero in affitto andrebbe approfondita e posta certamente in modo diverso rispetto a come hanno fatto quelli di Provita. Con altri toni in primo luogo.
A parte che io, da presidente di Provita, non avrei mai approvato questa immagine.
Perché proprio graficamente è brutta. Volevano dare questo senso di bruttezza? Se è così ci sono riusciti.
Sono d’accordo all’utero in affitto? Si, no, non lo so.
Certamente sono felice di non averne avuto bisogno. Ho voluto due figli e li ho avuti. Così come non mi sono trovata nella posizione di dover decidere del contrario. Ovvero di dover decidere di non volerne uno che stava arrivando.
Sono anche sicura di un’altra cosa.
Sminuire la questione a numeri e genere come hanno fatto quelli di Provita nella pubblicità (loro che si dichiarano a favore della vita poi) è tristissimo.
Pensare che quelli che ricorrono alla procreazione attraverso l’utero in affitto siano solo dei codici a barre non è ammissibile. Peggio ancora pensare che lo siano i bambini nati così.
Così come pensare che un piccolo con due papà o due mamme debba essere ritratto piangente in un carrello.
Perché ne avrei a bizzeffe io di esempi di genitori eterosessuali e sposati in chiesa che si macchiano di colpe gravi nei confronti dei figli.
Al contrario ho un ricordo affettuoso di una festa di un bimbo con due papà alla quale ha partecipato mio figlio. Nessuno stupore a quel compleanno. Nessuna anomalia. Nessun codice a barre sul petto del festeggiato. Semplicemente un bimbo come tutti gli altri, circondato dall’affetto di una famiglia e di una società accogliente.
Pensiamo davvero che basti amare una persona del sesso opposto per essere una brava madre o un bravo padre?
Mi viene subito in mente un intervento di Massimo Recalcati nella trasmissione Lessico Famigliare (non uno qualunque insomma, ma uno psicoanalista, scrittore e professore).
“Essere genitori non è un fatto di sangue – dice -. Non è un fatto biologico che riguarda la stirpe, la genealogia. Non riguarda nemmeno il sesso. Tutti i genitori sono adottivi. Perché non è sufficiente uno spermatozoo per fare un padre. Non è sufficiente un utero per fare una madre. Per fare una madre non ci vuole un corpo biologico. Per fare una madre ci vuole capacità di rispondere al grido. C’è incontro con la madre ogni volta che una vita incontra accoglienza, soccorso”.
E se questo accade con due coniugi etero, in una coppia non sposata, all’interno di una famiglia arcobaleno, o adottiva, o attraverso l’utero in affitto allora è lì che un bambino non sarà né numero né genere.
P.s. Per dovere di cronaca aggiungo che mentre scrivo apprendo che Virginia Raggi ha censurato la campagna pubblicitaria.