Ultima modifica 28 Aprile 2021
Me lo ricordo come se fosse ieri.
Ero a casa in uno dei rari momenti di tranquillità che la vita frenetica ogni tanto mi concede e stavo facendo i compiti con la mia bambina, una tranquilla ragazzina di 11 anni sempre sorridente e curiosa di tutto. Una di quelle figlie che adora il suo papà (a sua volta adorata forse ancor di più) e che lo guarda ancora come se fosse un super eroe invincibile e onnisciente.
Niente di differente da ciò che succedeva nei giorni, nei mesi e negli anni precedenti.
Lei si applicava nello studio mentre io ero indaffarato davanti al pc, quando non capiva qualcosa chiedeva a me e io interrompevo la mia attività cercando di spiegarglielo nel miglior modo possibile e lei rituffava i suoi bellissimi occhioni sul libro.
Poi, improvvisamente, il dramma.
Di fronte all’ultima indicazione che le ho dato si è ribellata.
«Ma no papà, non si fa così. Guarda!»
«Amore, credimi. È giusto come te l’ho spiegato io, cerca anche sul libro. Dice la stessa cosa che sostengo io».
Un libro chiuso con violenza, la matita lanciata verso il pavimento della cucina, la sedia sbattuta contro il mobile e un essere mostruoso che si è alzato piangendo ed è scappato lontano da me piangendo e urlando.
«Tu non mi capisci!
Lo vedi che è tutta colpa tua?»
Incredulità, sgomento, un misto di rabbia e di confusione si sono accalcati nel mio cervello. Sono rimasto lì, immobile, chiedendomi dove fosse finita la mia bambina.
Appena la parte istintiva si è lasciata sostituire da quella razionale ho guardato mia moglie e ho decretato la nostra fine.
«Ecco, è cominciata l’adolescenza. Prepariamoci all’inferno».
Lei è scoppiata a ridere e ha dato il colpo di grazia alle mie certezze.
«Prima o poi doveva succedere, lo sapevamo…»
Certo che ne eravamo consapevoli e io, probabilmente, più di molti altri.
La mia vita professionale, infatti, si svolge costantemente tra e con gli adolescenti: nelle comunità per minori, nelle scuole, nei centri di aggregazione, nelle situazioni disagiate, nelle famiglie complesse.
In un quarto di secolo ho visto adolescenze di tutti i tipi e so come affrontarle: ho gli strumenti, le competenze, l’esperienza e il carisma per affrontare crisi, conflitti intergenerazionali, difficoltà di comunicazione, scontri violenti, amori-delusioni-sogni infranti, percorsi alla ricerca dell’autonomia.
E pare che io sia anche abbastanza bravo in questo lavoro, nonostante la fatica, gli anni che passano e le evoluzioni delle generazioni che non sono più quelle di una volta.
Maledettamente bravo, mi piace pensare.
Ma da allora, me lo ricordo come se fosse ieri, un solo pensiero mi martella il cervello.
Rivoglio la mia bambina.
So che è lì, nascosta in quel mostro irriconoscibile che è scappato nella sua stanza e ha sbattuto la porta. E so anche che qualche volta tornerà fuori, per regalarmi l’illusione che sia stato tutto un errore, che l’adolescenza non renderà il nostro rapporto un delirio.
Ma so anche che l’adolescenza
è un male che deve passare,
senza la quale la mia bambina
non potrebbe diventare un’adulta.
E se volessi questo sarei il peggiore dei padri.
Me lo ricordo come se fosse ieri.
Anzi, era proprio ieri.
E oggi comincia questo nuovo viaggio nel mondo dell’unica adolescente che non posso affrontare come educatore. Mia figlia.
Un mondo che cercherò di intersecare con quelli che incontro tutti i giorni per lavoro con l’obiettivo di trovare le soluzioni migliori per affrontarlo.
Per cercare di sopravvivere.