Ultima modifica 10 Ottobre 2020
Quando le brutte notizie, quelle bruttissime, le ricevi dalla chat delle mamme della scuola prima ancora che dai tg nazionali è una tragedia. Resti di sasso, inebetita, ti chiedi se non sia un incubo. Ecco, io questa storia di Jonathan Galindo l’ho appresa così.
Mi ha fatto paura e mi ha convinto ancora di più delle mie idee.
Quando Jonathan Galindo entra a casa tua
Non abbiamo scritto subito di questa storia.
Ma è una vicenda che bisogna ricordare.
Lo scorso 30 settembre a Napoli un ragazzino, un bimbo, di 11 anni si butta giù dal decimo piano.
Poi senti che era a scuola di tuo figlio.
E ti senti i brividi addosso. E cerchi di saperne il più possibile.
Perché io abito al quinto piano, e ho un figlio appena più grande, e sta sempre col cellulare, e gioca al pc.
E allora ti vengono in mente scenari impossibili. E pensi che invece questi incubi si sono materializzati a un passo da te.
Senti che la tua scuola, la scuola di tuo figlio ha indetto un minuto di silenzio per “il nostro amato compagno”. E vedi la corona di fiori, le immagini del funerale.
E ti restano impresse per sempre le parole di questo papà che è distrutto e resterà distrutto per tutta la sua vita: “Io non lo so perché è successo”.
Non lo so. Non so chi è Jonathan Galindo.
Non so se questo bimbo stava giocando.
Se aveva davvero avuto paura. Se invece non si è reso conto che il gioco andava “oltre”.
Oppure era un bimbo facilmente impressionabile. Come forse è normale che sia a 11 anni.
Si, ti fidi, ci credi, non parli a casa e hai tutto un mondo dentro di te.
Che qualcuno intercetta magari. Jonathan Galindo, la balena blu, un uomo in carne e ossa che ti chiede il numero di cellulare fuori scuola.
E allora ti domandi se possa succedere a te. E cerchi di ascoltare da dietro la porta chiusa della stanza cosa fanno e dicono i tuoi figli. Chiedi spiegazioni? Cerchi complicità? Oppure al contrario cerchi di notte di sbloccare la password del cellulare? Indaghi con le altre mamme?
Si, ti senti autorizzata a fare tutto, al diavolo la privacy. A 11 anni la privacy non c’è, pensi. C’ è un figlio del quale sei responsabile. E lo pensi fortemente quando tragedie come questa ti sfiorano.
Certo, il mondo reale è pericoloso più del virtuale. Ma non è detto che queste due cose non si intreccino e creino trappole dalle quali è difficile districarsi.
Dicono che dietro Jonathan Galindo si nascondano in tanti.
Che a un primo account social con questo nome siano risaliti nel 2017 in Messico. E poi molti lo abbiano emulato.
Creano profili sui social più usati adesso, TikTok, Instagram. Contattano preadolescenti su queste piattaforme, inviano link per giocare, e sfidano i ragazzini con prove autolesionistiche.
Forse sono solo voci ingigantite dal tam tam mediatico della rete. Forse non esiste nessun Jonathan Galindo. Ma a volte la realtà è peggio della fantasia.
Certo è che un compagno di scuola di mio figlio scappava da un uomo col cappuccio nero.
La famiglia ha chiesto riserbo ed è doveroso rispettare la loro necessità di elaborare questa perdita.
A noi non resta che vegliare a 360 gradi. E tenere gli occhi aperti, spalancati.
Mettere in guardia i ragazzi, per strada e anche se sono soli con un cellulare in mano nella loro stanza.
E magari, sarà anacronistico, insegnare loro a giocare a monopoly e a carte.