Ultima modifica 9 Maggio 2019
Quattro storie di bambini che dicevano sempre no. Anzi, no, e no, e no, no, no, mamma.
È questo quello che mi ha risposto Filippo quando gli ho chiesto che cosa dicessero i bambini che raccontano le proprie storie in questo libro.
Quattro storie, quattro protagonisti, quattro no.
Sono il no di non voglio mangiare la minestra e il no di non voglio mettere in ordine i giochi i nostri no preferiti. Ci sono stati anche i giorni del no di non voglio andare a dormire, ma sono passati in fretta.
Temo torneranno, ma ci penseremo quando sarà il momento.
Così come è ancora troppo presto per i no di non voglio veder cadere i miei dentini.
Quattro storie semplici che raccontano quattro no: quelle due semplici lettere che costituiscono la parola che i piccoli ci dicono infinite volte, e che noi grandi ci sentiamo dire infinite volte.
No è la risposta, a qualsiasi richiesta e ad ogni domanda.
Dicono sempre no, senza nemmeno sapere a che cosa si oppongono. Chiamano i due anni terrible two, ma forse anche età del no sarebbe potuta essere una bella definizione.
E forse è proprio questo il motivo per cui Filippo e i suoi due anni e mezzo amano così tanto la storia del bimbo Alberto, che non voleva mangiare la minestra. E che non voleva ascoltare la mamma quando gli diceva “Se non mangi la minestra non diventerai mai grande“.
Quello che gli piace è quel no ostinato, quel comportamento ribelle del piccolo protagonista della storia, che è così piccolo e leggero che, con un soffio di vento, finisce su una nuvola, nella casa di Messer Vento e di Madama Pioggia.
E solo qui si accorge che forse aveva ragione la sua mamma, quando gli diceva che avrebbe dovuto mangiarla lui, quella minestra, invece che rovesciarla nella scodella del gatto.
Una storia semplice quella di Alberto, come le altre tre storie che sono raccontate nel libro, che mostrano ai più piccoli come forse, qualche volta, quel no che tanto amano non è la sola parola che si può usare.
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