Ultima modifica 4 Marzo 2014
In questi giorni è andata in onda sulla RAI una fiction, che racconta la storia del Maestro Manzi, il maestro d’Italia. Per noi, per la mia famiglia, Alberto Manzi è uno di casa, un parente, un amico.
Per il papà di mio marito, Manzi è stato dapprima un insegnante, poi padre, fratello, amico del cuore, e poi collega. Insieme hanno scritto libri per bambini, insieme hanno organizzato incontri, impostato lavori. Manzi ha presentato la sua futura moglie a mio suocero, che lavorava nella casa editrice che pubblicava i loro lavori; Manzi è stato il loro testimone di nozze, quel lontano ottobre del 1969. Si può dire che, se crediamo alla storia e ai suoi incastri, ad Alberto Manzi devo tutto, perché è anche grazie a lui che poi è nato mio marito ed io ho potuto unire la mia vita alla sua.
Ci siamo molto emozionati nel vedere la fiction, anche perché, contemporaneamente, è uscito anche un libro su di lui, scritto in parte da mio suocero. In verità, le cose sono andate che, una settimana prima della morte di mia suocera, una persona, che era un ex compagno di classe di mio suocero, ci ha contattati per chiedere collaborazione nella stesura di questo libro, e così, quello che era, per la famiglia di mio marito, diventato un ricordo, è diventato poi un appiglio per non annegare nel dolore.
Ancora una volta Manzi è diventato protagonista, inconsapevole, della storia della mia famiglia.
Ho un peso nel cuore. Quel peso che più di tutto è difficile da sostenere.
Anche mia nonna materna era un’insegnante. Io porto il suo nome, dopo la virgola, e ho conservato i suoi quaderni, i suoi libri, i sussidiari. Mia nonna era una donna che lavorava in epoca fascista, in un paesino piccolo vicino Roma. Una donna con quattro figli e tutto un mondo da tenere insieme e caricarsi da sola sulle spalle. Non l’ho mai conosciuta, ma la sento dentro di me da sempre. Forse proprio per quel suo nome dopo la virgola, che da quando sono nata mi appartiene.
Le mie radici mi appartengono. Sono quella che sono, grazie a loro. Convivo da sempre con questa consapevolezza, che per me è naturale.
Il mio passato, le persone che hanno contribuito alla mia esistenza, sono presenti in me e si “apparecchiano” a tavola ogni giorno con noi, in una sorta di benevola convivenza.
Sapere di avere un potenziale nonno-insegnante in grado di trasmettere ad un bambino tutto l’oro del mondo, molto più di quel che sanno fare oggi la maggior parte degli insegnanti, sapere di poter avere a disposizione la possibilità di crescere una persona ricca, educata alla consapevolezza, sin dalla sua nascita, e non poterlo fare.
Sento tutte le persone, che mi sono appartenute intorno a me, e Manzi, in questi giorni, me lo ha ricordato, pur non avendomi conosciuta, guardata, pur non essendoci mai guardati.
Sento la mamma di mio marito che è qui, al nostro fianco. Ricordo perfettamente l’odore della sua pelle e il tono della sua voce, quando era arrabbiata, quando era felice, quando voleva consolare. La vedo con la mano appoggiata al suo volto e vorrei averla qui, negli occhi di questo figlio che non c’è.
Quanto è facile guardare in faccia una donna senza figli e darle consigli non richiesti, come se l’unica cosa importante al mondo possa essere davvero solo il desiderio di quella donna e non porsi mai altre domande, altre implicazioni, oltre quel desiderio di figlio.
Quelle implicazioni, chiamate radici, che tanto mi danno ogni giorno.
Mentre io, mio malgrado, riesco ad offrire solo queste mani vuote.
Anna