Ultima modifica 17 Giugno 2023
La relazione tra maestra e alunno. Voi che state fuori non la potete neanche immaginare.
A volte anch’io stento a credere a ciò che sento o vedo in classe.
Con le mie colleghe diciamo spesso che dovremmo scrivere un libro, perché nemmeno una giornata scorre senza che ci sia qualcosa di meraviglioso o simpatico o faticosamente bello e profondo da ricordare.
Ora avete l’occasione di essere quella mosca che a volte sperate di diventare.
Dal corso di formazione sul nuovo regolamento di evacuazione in caso di terremoto (la nostra è zona sismica) viene fuori che l’insegnante deve preparare i suoi bambini ad uscire soli in caso di emergenza, perché potrebbe accadere che sia impossibilitata ad uscire.
Parlo e sono seri.
Mi guardano ed iniziano ad alzare le mani. Ovviamente c’è sempre chi parla mentre alza la mano: è l’urgenza… sono dettagli.
Ma lui è pensieroso. Sta lì, ascolta, pensa col mento sul gomito.
Lo guardo perché ha un comportamento insolitamente immobile.
Tutti parlano, perché devono scaricare l’ansia: quando sono impauriti è necessario che lo dicano, che chiariscano tutto ciò di cui hanno bisogno, per non portarsi dentro i massi delle domande non risposte.
“Maestra ma se crolla tutto?”
“Se crolla tutto, tu resta sotto il banco come ci hanno detto.
Ci sarà tanto rumore, ma prima o poi smetterà e usciremo…
Ma c’è una novità, bimbi, che ci hanno detto ieri ed è molto molto importante: voi bambini dovete essere pronti ad uscire anche da soli, perché la maestra, se si fa male o se c’è un bambino che per qualche motivo non riesce ad uscire dalla classe, non può guidarvi e voi dovete organizzarvi e andare al sicuro.
Fuori cercate al solito punto d’incontro una maestra che vi terrà con sé.”
Sgranano gli occhi, perché comprendono che spesso le cose non vanno bene e bisogna comunque essere pronti.
“Mae e chi è in bagno… e se non si apre la porta??”
“Non deve preoccuparsi: schiena forte al muro grande oppure se è a lavare le mani, subito sotto l’architrave. Aspetta che sia finita la scossa e si accoda alla prima classe che esce oppure c’è la collaboratrice che controlla tutte le classi e i bagni e nel caso esce con lei…tranquilli, nessuno vi lascia soli.”
“Mae, ma se non riesce ad uscire proprio?”
“La maestra rientra a cercarlo, non preoccuparti. Non si può, ma noi rientriamo. Basta che abbiamo portato fuori gli altri, poi possiamo fare quello che vogliamo.”
Capite quanto le nuove norme sgomitano attraverso le paure, le ansie, le nuove consapevolezze?
Capite quanto pensano i bambini? Quanto riflettono?
Quanto è sbagliato togliere preoccupazioni, responsabilità, vita?
Ai bambini serve sapere per potersi fidare sia di loro stessi che delle persone con cui stanno.
Sui bambini nulla scivola come acqua. Siamo noi, forse, che li preferiamo superficiali, perché spiegare è difficile. Veramente difficile.
Lo dico perché l’ho fatto mandando giù il malloppo ogni 5 secondi, perché non succede, non succede… ma può succedere.
Lui, con il mento sul gomito, aspetta la fine degli interventi dei compagni e alza la mano.
“Dimmi”
“Mae, quindi… noi dobbiamo uscire anche senza te per forza… però tu non puoi uscire senza di noi?
Se noi ci facciamo male tu stai con noi e se tu ti sei fatta un taglio… grande… e non ce la fai ad uscire, noi ti dobbiamo lasciare lì?”
“Sì”
“Questa cosa non è giusta. Non è giusta proprio.”
“Sì, è giusta, perché io sono responsabile di te, ma tu non lo sei di me”
Che fatica immensa parlare ora, davanti a lui che ha uno sguardo incredulo e e la pieghetta tra le sopracciglia.
“Non è giusto per niente”
“Sì, ma tu lo devi fare, sennò ti abbasso il voto sulla scheda”…non sorride e scuote la testa mentre io faccio fatica a tirare su il fiato e sorrido, spavalda per finta.
Certe volte si pensa all’affetto dei bambini per le maestre in un modo banale o banalizzante.
La maestra non è una mamma, né, lo studente, un figlio.
E’ un’altra cosa. Tutta un’altra cosa.
Un legame che, se ci pensiamo, nasce per forza e continua attraverso strade tortuose di conoscenza, fino ad arrivare a capirsi con uno sguardo.
Loro sanno che non gliene farai passare una, che non avranno, dopo la sgridata, un cartone negato o l’Ipad interdetto per una settimana. Non avranno nemmeno il tempo della coccola. Avranno solo parole dette e ascoltate e al massimo una carezza sulla testa o una mano sulla spalla.
Avranno sempre il tempo per spiegare perché si sono comportati male, perché piangono, perché hanno paura, perché non riescono a rispettare una regola, per chiedere e per questo sono sereni quando arrivano al mattino.
In realtà la relazione che si crea è forte, è grande, forse più grande di quanto possiamo immaginare o controllare.
Poi, alla fine della quinta, tutto sembra finire.
E forse con qualcuno finisce realmente, ma, per quanto mi riguarda, me li ricordo tutti.
Comunque certi bambini, quando vanno alla secondaria, non si rendono conto dei regali immensi che ci hanno lasciato: uno di questi, che li raccoglie tutti, è insegnarci che come i bambini, nessuno mai.
Grazie a te, bambino col mento sul gomito.
Anche io ti voglio un sacco bene.
Grazie Ylenia, mi riconcili con il nostro lavoro.
Silvia Franceschi