Ultima modifica 7 Giugno 2021
Il rugby è uno sport “pulito”.
Ciò non significa che non ci si sporchi nel praticarlo, vuol dire semplicemente che è ancora lontano da tutte le polemiche legate al dopping, agli scandali e alle partite truccate che caratterizzano purtroppo altre attività come il calcio.
Ha origini che risalgono alla metà dell’ ‘800 .
La leggenda vuole che la prima azione “alla mano” si sia giocata nella scuola di Rugby, in Inghilterra, quando uno studente impegnato in una partita di football, improvvisamente prese la palla con le mani e corse fino alla porta avversaria tra gli sguardi stupefatti dei suoi compagni.
Il rugby è spesso dipinto come sport violento poiché la durezza dei contrasti distoglie lo spettatore disattento da quello che è il vero spirito di questo nobile sport.
Indubbiamente il contatto fisico con l’avversario è ciò che lo distingue, ma è regolamentato da norme ben precise.
Il codice si fonda sul rispetto assoluto degli avversari.
Ciò permette a un gioco apparentemente duro di non degenerare in un comportamento scomposto. Indice del suo spirito cavalleresco è, fra le altre cose, la tradizionale passerella che i vincitori concedono ai vinti a conclusione della partita.
E non è affatto un sport riservato ai “maschioni”.
Costituisce infatti un ottimo esercizio anche per il sesso femminile e addirittura per i bambini, indipendentemente dalla loro “stazza”.
Bando dunque agli stereotipi. In Italia esistono squadre nelle quali le donne giocano a 15 come gli uomini e una Coppa Italia in gironi in cui si gioca a sette. Le giocatrici sono donne a cui non dispiace sporcarsi con il fango che scoprono risorse inaspettate e il senso del collettivo della squadra.
Per scendere in campo non basta essere solo forti, scatenati e pronti a rotolarsi nel fango per il possesso di palla.
E’ essenziale essere leali, controllati, rispettosi delle regole e degli avversari.
Il target dei tifosi è medio-alto: è generalmente composto da studenti universitari e liberi professionisti, ma non è raro che fra gli spalti figurino famiglie con i bimbi a seguito.
I rugbisti condividono, oltre a un grande senso di lealtà, anche il gusto della sfida fino alla fine. In questo sport è molto forte il senso della competizione, uno apirito lontano anni luce dal mondo del calcio che non ammette violenze di nessun tipo. È una cultura diversa: la simulazione, che nel calcio è prassi, nel rugby è motivo di disprezzo, i giocatori odiano perdere tempo a restare a terra, preferiscono andare all’attacco, mentre a fingere ci pensano gli attori.
La strada da percorrere è ancora lunga prima di arrivare ai numeri del calcio ma nel frattempo gli iscritti alle società sportive continuano a crescere; sono già 40mila e per l’anno prossimo si prevede addirittura un raddoppio dei praticanti rugbisti.
È propedeutico allo sviluppo di tutto il corpo, dalle spalle alle caviglie. Invoglia all’aggregazione e insegna il rispetto dell’avversario e dei propri compagni di squadra. Non è necessario essere particolarmente robusti, e ciò vale anche per i bambini. Nel rugby ogni caratteristica fisica è apprezzata perché i ruoli nella squadra sono molteplici. L’impegno richiesto è di solito pari a due allenamenti a settimana. I bambini possono praticare rugby già a partire dai 5 anni, anche se si tratta naturalmente di un’attività propedeutica allo sport vero e proprio. Si può parlare di una vera e propria pratica del rugby soltanto a partire dai 12 anni.
Il rugby non è uno sport che sviluppa l’ aggressività
Difficilmente si interviene con le gambe e non esistono manovre che possano risultare particolarmente violente. I benefici che si traggono dalla pratica di questo sport sono legati allo sviluppo delle capacità capacità anaerobiche, della velocità e della potenza muscolare. Non è poi così difficile farsi male: l’incidenza di infortuni è più bassa nei bambini rispetto che gli adulti e in ogni caso comparabile ad altri sport come il calcio.
Il rischio di contrarre contusioni o fratture si può ovviare con una buona preparazione atletica.