Ultima modifica 24 Agosto 2020
Le donne europee guadagnano ancora troppo poco. Lavorano 59 giorni a salario zero. A dirlo sono i dati della Commissione Europea, che parlano chiaro: il differenziale retributivo di genere, cioè la differenza media tra la retribuzione oraria di uomini e donne nell’intera economia è rimasto quasi immutato negli ultimi anni ed è ancora del 16,4%, che su 365 giorni sono 59 giorni.
L’Unione Europea ha confermato la tendenza alla stagnazione dopo la lieve tendenza al ribasso degli ultimi anni rispetto al 17% e oltre degli anni precedenti. In Danimarca, nella Repubblica Ceca, in Austria, nei Paesi Bassi e a Cipro si registra una costante riduzione del divario, mentre altri paesi (Polonia, Lituania) hanno invertito la tendenza al ribasso nel 2012. In alcuni paesi, come Ungheria, Portogallo, Estonia, Bulgaria, Irlanda e Spagna, il differenziale retributivo di genere è aumentato negli ultimi anni.
Le rilevazioni di Bruxelles mostrano per l’Italia una situazione migliore rispetto al resto del Vecchio Continente, con un divario retributivo di genere al 6,7%. Grave, però, il fatto che si sia registrato un peggioramento negli ultimi anni, quelli della crisi economica, tanto che nel 2008 il divario era del 4,9%. Non bisogna poi dimenticare come l’Europa abbia già puntato il dito contro l’Italia, nelle ultime raccomandazioni specifiche destinate ai singoli Paesi, indicando che “la partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta modesta e l’Italia presenta uno dei maggiori divari di genere nell’occupazione a livello di Unione Europea”.
Anche dove si è registrato un miglioramento, però, non c’è da cantare vittoria. La Commissione ricorda, infatti, che sono fattori particolari a determinare il livellamento dei salari, come l’aumento della percentuale di lavoratrici con un più elevato livello di istruzione e l’impatto della recessione economica. Quest’ultima ha colpito maggiormente i settori a prevalente manodopera maschile, come l’edilizia e l’ingegneria. Elemento che porta Bruxelles a concludere che il lieve livellamento non è imputabile esclusivamente ad aumenti della retribuzione femminile o a un miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne.
«La constatazione più amara è che il lievissimo livellamento, cui assistiamo, è in buona parte attribuibile a una diminuzione delle retribuzioni maschili, come conseguenza della crisi economica, più che a un aumento di quelle femminili», spiega infatti Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione Europea e Commissaria per la Giustizia. «La parità retributiva per uno stesso lavoro è un principio sancito dai trattati dell’Unione ed è giunto il momento, dopo anni di inazione, di farla diventare una realtà per le donne in Europa. La Commissione Europea sta attualmente preparando un’iniziativa volta a favorire il cambiamento, in modo che nel prossimo futuro non ci sia più bisogno di una giornata per la parità retributiva», assicura.
Elisa Costanzo