Ultima modifica 17 Giugno 2023
Parliamo di scuola.
In mezzo alla paura e all’ansia, in mezzo alla corsa per fare qualcosa, in mezzo ai bombardamenti che non sono fisici ma verbali positivicontagiatiguariticontoleambulanze… Tirati per le braccia dalle molteplici verità, faccio le scale un po’ di corsa stamattina e mi ritrovo in classe mentre parlo al cellulare con la mia collega… “prendimi il libro di inglese ché a casa non ce l’ho”.
Chiudo la chiamata distrattamente e mi ritrovo nell’assurdo silenzio di una classe vuota e muta il 9 marzo alle 10.
E lo stomaco una pietra, ma non è una tragedia.
Sono sola, a 100 metri da tutto e tutti, il vuoto quello vero.
E’ questo che spaventa.
Il vuoto di ogni cosa normale. Di un libro sbattuto sul banco della giornata storta.
Di una risata al momento sbagliato che machec’èdarideresuunquartooooaccidentiiii…
No, le tragedie quelle vere sono ben altro. Però andava così bene e c’era tanto da fare.
Tanto.
Insieme.
A distanza. Certo.
Io credo un po’ tanto a Galiano.
Quella che tu scrivi o parli da casa
non è didattica, non è scuola.
Non è nemmeno approfondimento. Sinceramente, non gli so dare un nome.
Oggi, per sentirmi un po’ scolasticamente viva ho scritto un problema carino, ma carino… C’ho messo anche una foto di un pavimento gommato in mattonelle 50×50 cm, con il costo. Uno bello, da studiarci sopra.
Però mi sono resa conto che andrebbe fatto in cerchio, col marasma delle idee di tutti che risuonano.
Non verrà bene così.
Ma l’ho dato, sperando magari che qualcuno di loro mi telefoni o che mi mandi un piccolo audio… mah.
A quanto pare ci dobbiamo proprio adattare. Tutti.
Non viene bene a noi insegnanti, per quanto siamo tecnologicamente pronti.
Non viene bene ai genitori.
Lo sappiamo che avete lavorato tanto per renderli indipendenti e fare i compiti da soli. Abbiamo lavorato anche noi per questo: diario e via, sapendo cosa si deve fare. Ora no. Ora no.
Mio cugino mi ha ricordato che è il caso di riflettere sul famoso Batterfly Effect.
Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo.
E’ un po’ lo schiaffo che tutti aspettavamo, con la testa rannicchiata tra le spalle, a chi pensava (o forse, impavido, pensa ancora) che si possano alzare muri di protezione ad una perfezione che non esiste, una perfezione bugiarda.
Certo, non così.
Sarebbe stato meglio l’avessero compreso a scuola, prima di arrivare agli alti gradi del governo.
Il cuore in pace.
Dobbiamo ritornare all’attenzione quotidiana, dobbiamo arrenderci un po’ perché siamo tutti uguali e fragili. Scusate la digressione…
Per la scuola cosa fare?
Forse attivare una piccola “stanza dei bottoni” per aiutare anche noi, affinché il nostro lavoro non sia solo una sterile assegnazione di esercizi.
Anzi, non deve proprio esserlo.
Ecco. Chi può lo faccia. Chi non può, lo aiutiamo in ogni modo, anche stando al telefono, perché non andando al lavoro e dovendo stare in casa possiamo e dobbiamo farlo.
C’è un pericolo per la scuola?
Sì, sono sincera: c’è il pericolo che serpeggi in modo nemmeno tanto subdolo che si possa fare senza, o che il lavoro degli insegnanti beh, sì, serve…ma vedi in Internet c’è talmente tanta roba che da fare si trova… che gli esercizi uhhff ci sono pure quelli con la correzione eeeehhh basta cercare un po’.
Può esserci persino la battuta premio “Oh, finalmente faranno qualcosa!!” Chi? “Maaa un po’ tutti, bambini, insegnanti…”
E dall’altro lato c’è chi “Eh, però non abbiamo i mezzi e non si può pretendere di avere tutti la tecnologia in casa…” Ci può stare.
Certo, per avere un contatto con gli insegnanti basta uno smartphone… o un telefono, il tanto sottovalutato telefono.
I prof di mia figlia alla secondaria hanno attivato diverse classi virtuali, ma una di loro ha detto che possono chiamarla se hanno difficoltà.
Insomma, questo mondo così vario che ci lascia ogni volta così smarriti di fronte alla quantità di strade percorribili, in un momento del genere bisogna convertirlo in ricchezza, attrezzandosi e lasciando perdere le polemiche, facendo quello che si può.
Una collega mi ha ricordato qualcosa di molto comune a tutti noi quasi cinquantenni: fare una ricerca a settimana era un viaggio in biblioteca.
Sì, perché la ricerca sulla rivoluzione industriale non si può fare su I Quindici e andavamo perché non c’era altra soluzione. I genitori di allora non si sognavano di dire al professore che dare una ricerca era discriminante. Si attrezzavano, in qualche modo.
Poi qualche genitore illuminato si faceva la UTET a rate, perché la cultura contava, più di adesso, diciamolo pure.
Insomma, in biblioteca sì… e lì che ti sbrigavi a prendere appunti perché alle 16.30 passava mamma a riprenderti e se non avevi finito “Eh, ti arrangi!”
Oggi è diverso. Abbiamo tutto e chi non ha tecnologia ha gli insegnanti. A casa, volendo. Chiamare è semplice.
Vorrei, per ripescare un filo lungo tutto il pezzo, richiamare l’attenzione su un’iniziativa che non porta soldi a nessuno, ma solo grandi idee: il gruppo Matematica Divulgazione Didattica, costituito da professori di didattica della matematica, che insegnano nelle nostre Università, ha lanciato una campagna con l’hashtag #lascuolaconta
“…riteniamo importante sottolineare che la scuola conta anche e soprattutto per l’aspetto formativo. La scuola conta per tutti e sempre e sarebbe bene che ce ne accorgessimo e ricordassimo anche in situazioni di non emergenza.
La scuola conta nella sua normalità ed è un bene da difendere e da valorizzare”
Non sono parole infuocate o polemiche, sono anzi lontane da tutto il clamore, la ridondanza, l’allarmismo. Forse non fanno scena, ma hanno, secondo me, la forza della semplicità.
Forse questo “Stare a casa” ci farà riflettere sul valore e sulla potenza sottile delle parole semplici.
Non so voi, ma io sono stanca delle cose urlate…
Sarebbe bello se ognuno scrivesse cos’è la scuola aggiungendo l’hashtag.