Ultima modifica 10 Ottobre 2019
Mia figlia ha iniziato la scuola primaria in Italia, con i compagni che conosceva dell’asilo e con maestre straordinarie: competenti, appassionate, piene di affetto e calore verso i piccoli alle prese con la loro nuova avventura.
Ricordo con immensa tenerezza il nostro primo giro in cartoleria con la lista dei quaderni e delle copertine colorate: blu per matematica, rossa per italiano, giallo per storia.
E poi matite, pennarelli, tempere…
Tutto il materiale per la scuola “dei grandi “.
Mia figlia era intimorita, io fiduciosa: sapevo che si sarebbe sentita più stimolata rispetto all’asilo e così in effetti è stato.
La prima elementare è trascorsa serenamente, tra l’entusiasmo per aver imparato a leggere e scrivere e qualche protesta per i compiti.
Poi, il trasferimento in Svezia, a Stoccolma.
Città dove avevamo già vissuto, ma dove non era mai andata a scuola, perché era più piccola, e potevamo goderci tutto il tempo insieme.
Il sistema scolastico di un paese ne riflette la cultura e la visione del mondo: il modo in cui i bambini vengono inseriti nella società e accompagnati verso l’adolescenza e l’età adulta rispecchia i valori e le aspettative di quella cultura.
La scuola svedese è profondamente diversa da quella italiana.
Partiamo da alcuni dati: la prima elementare in Svezia inizia a 7 anni, mentre a 6 anni i bambini affrontano un anno di passaggio tra asilo e scuola primaria, in modo che questo avvenga in maniera graduale.
Nei primi anni non ci sono compiti a casa e non si va mai a scuola al sabato.
In generale, il principio della gradualità è alla base di tutte le attività proposte: i bambini devono essere stimolati ma non sovraccaricati, in modo che l’apprendimento avvenga in maniera piacevole e serena.
I piccoli con esigenze particolari hanno strumenti didattici appositi e insegnanti di sostegno.
L’orario delle lezioni va dalle 8,30 alle 14, con una pausa per il pranzo, una lunga ricreazione e diverse piccole pause tra un’attività e l’altra.
La scuola, però, è aperta dalle 6,30 alle 18, in modo che i genitori lavoratori possano portare e andare a prendere i bambini in base ai propri orari.
Il servizio di orario extra è a pagamento, mentre l’istruzione è completamente gratuita, incluso il pranzo e tutto il materiale, non solo i libri ma anche i quaderni, i fogli, i colori.
La scuola che abbiamo scelto per nostra figlia è internazionale ma con un curriculum svedese, quindi segue questo programma improntato alla gradualità, unito a una bellissima atmosfera multiculturale, multilingue, “multistorie”: quasi ogni bambino ha parenti in altri paesi, e parla almeno due lingue.
L’edificio e i locali sono ampi, accoglienti, colorati. Tutte le premesse erano buone insomma. Mia figlia era serena già dal primo giorno, e io così sollevata e orgogliosa di lei, che aveva saputo affrontare un passaggio così difficile.
Le maestre si sono mostrate calorose e disponibili, compagni felici di accogliere una bambina nuova.
Eppure, nelle notti di quei primi giorni di scuola, non riuscivo a dormire.
Pensavo ai quaderni rosso e blu che ci eravamo lasciate alle spalle, ai compiti (sì, i compiti), ai libri che portava sempre a casa e che guardavamo insieme.
Qui in Svezia, tutto il materiale resta a scuola, e non ci sono compiti.
La famiglia, insomma, partecipa molto meno, e di conseguenza ha meno controllo.
Mi mancava seguire mia figlia come ero abituata a fare.
Anche se ogni venerdì i genitori ricevono dalla maestra il resoconto settimanale, era tutt’altra cosa sfogliare i suoi libri e i suoi quaderni, aiutarla a fare i compiti mentre bevevo una tazza di tè o allattavo la sorellina.
Sentivo un vuoto che si traduceva in tristezza e senso di colpa, e preoccupazione che facesse troppo poco.
E forse è proprio così: credo che una sana via di mezzo tra avere compiti tutti i giorni e non averne mai potrebbe essere la cosa migliore. Non tanto per il valore educativo dei compiti a casa, ma per il valore della condivisione.
Comunque, adesso che mia figlia ha iniziato il suo secondo anno qui, ho imparato a lasciarmi andare: condividiamo ciò che lei mi racconta con entusiasmo, o le sue confidenze sussurrate.
E intanto la vedo crescere, maturare, sbocciare in un ambiente che le offre continui stimoli e sfide, e allo stesso tempo serenità.
La scuola in Svezia, non ha fretta.
I bambini sono bambini, e questo tempo prezioso della vita va lasciato scorrere libero, educando al rispetto più che alla disciplina, senza il pensiero dei voti e delle pagelle, che nascondono il rischio della competizione.
Mia figlia riempie interi quaderni di storie in italiano inventate da lei.
Ha quindi fatto tesoro degli insegnamenti delle sue maestre in Italia.
E si è ambientata qui, ogni giorno la trovo col sorriso e gli occhi che brillano, ed è questo che conta veramente, al di sopra di ogni altra cosa.