Ultima modifica 20 Giugno 2019
Quando si è invisibili è terribile.
Ci pensavo oggi pomeriggio: un bambino che salta su un tavolo di un piccolo giardino pubblico mentre i genitori sono in chiacchiera con i loro amici.
Ogni tanto chiama la mamma che nemmeno si volta.
Scende dal tavolo e si mette a raccogliere di tutto da terra: tappi, sigarette… senza un “non si raccoglie niente da terra”, che poi è una delle tante dimostrazioni della cura, se non dell’affetto, diretta ad un bambino.
5 anni più o meno.
Di nuovo a saltare sul tavolo. Urla di volere il cellulare per giocare. Urla e il papà gli dà uno sventolone.
In silenzio si appende alla borsa della mamma, che apre il pozzo dei desideri e lascia il cellulare al bimbo che si eclissa sulla panca del tavolino. Il silenzio. Di nuovo invisibile.
Nella speranza che siano stati 40 minuti unici e che, in tutto il resto del tempo e di vita, il bimbo sia di carne ossa e anima per i suoi genitori, è certo che, andando a scuola, cercherebbe attenzione.
Tanta attenzione. Come non si sa, ma la cercherebbe e ne avrebbe pure il sacrosanto diritto, forse più di altri.
A scuola l’attenzione alla persona è la stella polare di un bambino per la sua formazione. Nella scuola secondaria, per un ragazzo ancor di più.
Gli insegnanti lo sanno bene.
Ma quel bambino che sembrava invisibile, potrebbe esserlo anche in classe e non si stupirebbe neanche… credo; sarebbe solo una conferma che gli adulti non se ne importano di lui. Perché?
Perché le nostre classi continuano ad essere troppo numerose.
I media tirano fuori lo slogan delle classi-pollaio quando gli fa comodo o quando va politicamente di moda.
Tra una notizia e un articolo, un’opinione sparata in tv e una litigata in diretta in Parlamento, applaudiamo come le foche quando escono articoli con l’analfabetismo dilagante, quando si denigra la preparazione matematica. Ma ci chiediamo concretamente dove risiede il problema?
Quando gli insegnanti, nei loro “sciocchi” scioperi e manifestazioni, chiedono la soluzione al problema delle classi pollaio, chiedono di portare in superficie il valore dell’attenzione alla persona.
Il numero dei bambini è fissato da un minimo di 15 ad un massimo di 26 che può essere aumentato del 10% se il dirigente lo ritiene opportuno. Quindi, se arriviamo a 28-29 (e si può)… non si possono dimezzare perché il minimo di 15 lo impedisce. Ok. E’ evidente che i numeri sono studiati ad hoc. E’ evidente.
Dal ’75 la norma per cui ogni bambino (esclusi arredi scolastici, ma non i banchi) ha 1,80 mq a disposizione.
Il ’75 anno illuminato, altrimenti saremmo arrivati a 40 bambini per classe.
Ma lo “spazio del tempo”, che è la dimensione attraverso la quale cresce l’apprendimento?
A questo non pensiamo?
Poi affidiamo pure compiti educativi e formativi alla scuola e facciamolo con tutta la coscienza sociale del mondo, in questo mondo che di sociale non ha più neanche i cortili.
Avete mai fatto questa divisione?
300 : 48= 6,25 . I miei minuti di scuola (tempo normale): numero dei bambini incontrati in un giornata scolastica. Cioè io, se solo parlassi con ogni bambino, nella mia giornata scolastica, poco più di 6 minuti, avrei esaurito il mio tempo scuola.
In quei 6 minuti devo dare a ciascuno un motivo per stare bene, per metterlo in condizioni di apprendere, per capire se ha appreso e per correggere insieme gli errori e per dargli una linea di comportamento corretta e civile.
Mettiamoci 3-4 ore di lavoro collettivo in cui ci si spiegano concetti… bene, ogni bambino ha 3 minuti o poco più per parlare di sé e chiedere aiuto se ha bisogno. Flash.
Mettiamo il timer come per le patate al forno?
Quindi fate i vostri conti che io faccio i miei.
A fine giornata, con tutta la frustrazione del mondo, ti trovi a constatare l’invisibilità di alcuni bambini. L’unico imperativo è ricordarsene e fare in modo che il giorno dopo non siano gli stessi.
Forse dovremmo riflettere di più quando gli insegnanti chiedono qualcosa.
Spesso lo fanno perché è necessario.
E’ lì, nel tempo, tutto l’oro di una sguardo in più che ti fa notare occhi insicuri ed intervenire, un mal di pancia non detto o un concetto non capito.
E ripenso a quel bambino al parco. Niente attenzione a casa; 3 minuti di attenzione a scuola.
E dovrebbe diventare un adulto civile, coerente e innamorato della vita e del sapere?
Sì, con un paio di miracoli a settimana.
Lottiamo un po’ di più per questa scuola e per dare un tempo degno a ciascuno dei nostri figli.
Ylenia Agostini