Ultima modifica 15 Novembre 2021

Li abbiamo definiti “sdraiati”.

Quella generazione di ragazzi avvolti nelle loro felpe e circondati dai loro oggetti tecnologici come fossero prolungamenti post-umani del corpo e del pensiero che vivono in un mondo dove “tutto rimane acceso, niente spento, tutto aperto, niente chiuso, tutto iniziato, niente concluso”.

Li abbiamo classificati come Generazione Z (l’ultima lettera dell’alfabeto, come se non ci fosse una possibilità di evoluzione).

Cresciuti all’indomani dell’attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle e in un clima di paura e sfiducia si ritenne inizialmente che potessero essere membri di una generazione meno propensa a viaggiare e che considerassero più sicuro il restare a casa.

Insomma, una generazione chiusa in sé stessa, individualista, disinteressata ai valori e alle abitudini cui noi adulti eravamo abituati. Una generazione a cui imputiamo la mancanza di interesse per il cortile, il gioco all’aperto, le relazioni sociali “reali”.

Una generazione che non ci piace perché diversa dalla nostra ma che, paradossalmente, proprio noi abbiamo educato ad essere.

Per noi sono degli sdraiati, degli asociali, dei disinteressati globali.

Li accusiamo di essere più interessati a sé stessi che al mondo, di rinchiudersi nel loro mondo virtuale che (per noi) è così distante da quello reale.

Eppure capita che li abbiamo chiusi in casa, obbligati a passare le loro giornate davanti ad uno schermo ingabbiati uno smart-studying che spesso è peggio del nostro smart-working. Succede che li abbiamo obbligati a vivere le relazioni sociali esclusivamente attraverso lo schermo di un device perché gli abbiamo impedito di fare sport, incontrarsi, frequentare la scuola.

Li abbiamo condannati a quella vita che secondo noi avevano scelto e che stigmatizzavamo.

Eppure, come sempre accade nel passaggio da una generazione all’altra, sono proprio i giovani che ci stupiscono non solo per la loro capacità di essere resilienti ma, soprattutto, per la lor incredibile abilità nel “fare di necessità virtù”.

Sì, perché sono proprio i ragazzi per primi – nonostante si siano adattati fin troppo bene alle regole che noi adulti gli abbiamo imposto “per il loro bene” – a stupirci con la loro voglia di vivere, di accettare senza condividere quanto gli viene imposto, di rispettare le regole pur cercando di trovare nuovi modi di vivere.

Perché per i nostri adolescenti si stratta proprio di quello: vivere. Vivere il mondo, vivere le relazioni, vivere sé stessi.

Ecco allora che, come sempre accade, sono proprio loro a stupirci con la loro capacità di superare le difficoltà.

La racconto brevemente. Siamo a marzo 2020, in pieno lockdown, e un gruppo di ragazzini tra gli 11 e 13 anni non ci stanno a vivere tra un meet per la lezione online e una serie tv su Netflix. Vogliono qualcosa di più, vogliono continuare a vivere. Qual è uno dei loro interessi principali? La musica. Ecco allora che decidono di fondare una web radio e di cominciare a parlare ai loro coetanei con i soli mezzi che hanno a disposizione: quelli virtuali.

Il primo lockdown si conclude e sembra che tutto torni (più o meno) come prima. La scuola ricomincia e i ragazzi possono davvero tornare (mascherina e lavaggio delle mani a parte) alle loro vecchie abitudini. Poi la sorpresa: arriva il secondo giro di vite e i primi a farne le spese sono proprio gli adolescenti. Scuole chiuse, sport vietati, assembramenti impediti.

Ma loro non ci stanno. Hanno imparato, attraverso la radio, a dire la loro consapevoli che qualcuno (pochi o tanti che siano non importa) li ascoltano.

Paradossalmente sono più fiduciosi loro nel mondo degli adulti che noi stessi. 

E siamo sempre lì: qual è il canale a loro più avvezzo per dire quello che pensano? Sempre la musica.

Ecco allora che quegli stessi ragazzi si mettono intorno ad un tavolo: scrivono una canzone e (questa volta con l’aiuto di adulti che hanno creduto nel loro progetto) la musicano, la registrano, la diffondono.

Nasce così #SenzaScuola.

Un bravo scritto da Sgamo e Angelo Cattivelli, prodotto da Cristian Piccinelli e Simone Sgamo Gatti presso i CP studio di Brescia per l’Etichetta GT Records. Il Video è realizzato da Baseluna Film Factory con la regia di Graziano Molteni.

Questa è la risposta di Angelo Cattivelli che, con Caterina Quarantotto, Rosario Marino, Arianna Curti e Nicolò Caserta (I Teen Guys della Teen Social Radio) risponde con tutta la leggerezza e l’ironia della loro età, dimostrando di avere le idee chiare e una forza comunicativa che non può lasciare indifferenti.

Rosario  Angelo Caterina 

In questo brano “rappato” dichiarano, senza esitazioni, come la “famigerata” scuola sia fondamentale per loro. Molto più che “solo didattica”, ma “luogo di incontro e di scambio”. Un’urgenza che spiazza per primi proprio loro: loro che hanno esultato per una, non prevista, vacanza oggi se ne scoprono “orfani”.

La scuola che credevano essere solo un impegno e forse, una “rottura”, oggi manca. Perdere la scuola, ha significato, infatti, rinunciare a una socialità che davano per scontata.

A scuola ci si incontra e scontra, si cresce, ci si innamora e ci si lascia. Prendono forma coscienze, si gettano le basi di un futuro che consegneremo proprio a loro, uomini e donne del domani.

Le loro parole arrivano, dirette e sincere. Niente fronzoli, ma una richiesta ben precisa che, chiara e forte, arriva a chi sa ascoltare. Una bella lezione, che oggi questi adolescenti danno a tutti noi di resilienza vera, di tenacia e forza.

Forse noi adulti dovremmo imparare da loro.

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