Ultima modifica 21 Aprile 2021

Ho imparato a leggere grazie alle Fiabe sonore, quando ancora esistevano i giradischi. La mia preferita era Cenerentola, che se c’è una storia che ti fa sognare il giorno del matrimonio (il giorno più bello, dicono) è senz’altro lei. E però non è che ci ho mai riflettuto tanto, su questa cosa del matrimonio. Fino a un certo punto mi è sembrato un passaggio obbligato, poi una cosa del tipo, va be’, ma se tanto si può convivere perché sposarsi.
Non ho mai sognato abiti bianchi o ricevimenti sulla spiaggia, e quando le mie amiche hanno iniziato a sposarsi, al massimo sentivo una “lievissima” sensazione di ansia. Il tempo che passa, i primi fili bianchi tra i capelli – cose così.

Le cose sono cambiate quando ho conosciuto Matteo.

Il nostro primo contatto è stato virtuale: un suo messaggio di complimenti per una cosa che avevo scritto. Gli ho risposto con cautela, incuriosita da questo ragazzo che sembrava molto più grande e che riusciva a vedere nelle mie parole cose che, fino a quel momento, mi erano state invisibili.

Dopo circa tre mesi abbiamo deciso di provare ad andare a vivere insieme. Per lui era la prima volta, per me no, e nel giro di pochissimo tempo ci siamo ritrovati a pensare: ma perché non ci sposiamo? Abbiamo fissato una data, siamo andati in Comune per le pubblicazioni e il resto è storia.

Non saprei spiegare cosa mi è passato per la testa in quel momento, nel momento in cui abbiamo deciso di fare questa cosa che, chi mi conosce da sempre, ancora si stupisce che abbia fatto. Ma so che nel momento in cui mi sono ritrovata a Palazzo Reale (vestita rigorosamente di nero), ho capito cosa vuol dire sposarsi.

L’ho capito quando l’officiante ha chiesto a mio padre se voleva accompagnarmi e lui mi ha presa sotto braccio e si vedeva che non si sarebbe perso quel momento per niente al mondo.

L’ho capito quando, pur non riuscendo a staccare gli occhi da quelli della persona che stava diventando mio marito, ho sentito le emozioni delle poche persone con cui avevamo deciso di condividere quel momento.

L’ho capito ripensando a quando abbiamo citofonato ai nostri vicini di casa per consegnare loro le partecipazioni che avevamo creato, o a quando abbiamo fatto il giro dei parenti – è bastata solo una parola per aprirmi le porte di un’intera famiglia.

matrimonio-egualitario-2

La parola, ovviamente, è matrimonio. E non lo so mica se “unione civile” avrebbe funzionato allo stesso modo. Perché al di là dei diritti e dei doveri, il momento del sì è quello in cui il mondo inizia a riconoscerti come una cosa che prima non c’era, che prima era due. Viene riconosciuto l’amore, che ha finalmente dei nomi (e dare dei nomi alle cose è essenziale: anche solo per poterle nominare). Marito, moglie. Li ha per i nonni di Teo che quando lo vogliono sentire chiamano me e mi dicono, nipote; lo ha per la vicina di casa che quando mi incontra sulle scale mi chiede, tutto bene, il marito? Lo ha per Maria che sta alla cassa del Carrefour dove faccio la spesa e quando ci vado con lui gli dice, ma portala in vacanza, tua moglie!

Mi sono dovuta sposare, per capirlo – per capire cosa volesse dire; e adesso che l’ho capito vorrei che lo potessero fare anche le mie amiche e i miei amici a cui ancora non è permesso. Vorrei che il loro sì potesse valere quanto il mio. Vorrei che il matrimonio, in Italia, diventasse egualitario.

Psicologa e traduttrice. Coordino il progetto Le cose cambiano, rivolto agli adolescenti LGBT e collaboro con Diversity, l'associazione di Francesca Vecchioni. Co-mamma del Progetto Prisma e di #unamicoinpiù.

1 COMMENT

  1. Carissima
    Sul valore del “loro si ” nessuno discute. Sul fatto che possa chiamarsi matrimonio forse qualche obiezione la si può fare…sulla possibilità poi che in queste coppie possano crescere dei bambini, adottati o generati in qualunque modo la scienza (non certo la natura) renda possibile, permettimi di dissentire. Ogni bambino ha diritto a nascere li dove la natura (e non l’egoismo umano) lo pone: dove avrà una mamma e un papà in cui riconoscersi!
    E per quanto riguarda il riconoscimento sociale…te la vedi la cassiera o la vicina di casa chiedere a un uomo come sta suo marito? Non lo farebbe quantomeno per rispetto di chi ha davanti che non è detto voglia far sapere le sue scelte personali a tutto il condominio o agli altri clienti!
    No…queste argomentazioni non mi convincono…
    Aruanna

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