Ultima modifica 14 Ottobre 2019
La fiesta de las Fallas di Valencia è una festa che si conclude alle porte della primavera, ed è proprio da quella festa che lo scorso 20 marzo stava rientrando quel pullman di studenti dell’Erasmus in cui molti hanno perso la vita nel terribile incidente che ricordiamo bene.
Era la vigilia della primavera, una primavera che quei 13 ragazzi non avrebbero visto.
Non era solo l’inizio della stagione, era proprio l’inizio della loro primavera.
Ci penso da quel 20 marzo.
La primavera di ragazzi che si affacciano alla vita con l’entusiasmo che li contraddistingue.
Con quella forza che solo i ragazzi a 20 anni hanno, il fuoco nel cuore, la luce negli occhi che li fa vivere e sognare il futuro, e a volte anche la rivoluzione, in qualunque forma essa sia.
Io ho un figlio adolescente, e fra un po’ anche lui (lo spero) mi chiederà di partire.
L’ho fatto anche io, quando a mio padre chiedevo il motorino e lui invece mi diceva: “Viaggia”.
L’ho preso in parola e lo ringrazio ancora per non avermelo comprato, il motorino.
E lui, mio figlio, magari tra un po’ mi chiederà un viaggio studio, una vacanza all’estero, magari di partecipare all’Erasmus anche lui.
E io magari ripenserò a quei 13 ragazzi che sono morti.
Che se non ci andavano all’Erasmus a quest’ora erano ancora nelle loro case con i genitori.
La domanda nasce spontanea: se nostro figlio domani ci chiedesse di voler partire, noi glielo impediremmo?
La tragedia della Catalogna (e non solo purtroppo) ha sicuramente messo un tarlo nella testa di tanti genitori di ragazzi e adolescenti.
Cosa può succedere a mio figlio lontano da casa, in questo mondo sempre più pericoloso?
E se l’insegnante che li accompagna si distrae?
E se il pilota dell’aereo ha istinti suicidi?
E se l’autista si addormenta?
Tra le tante ipotesi da disturbo ossessivo, oggettivamente, la possibilità che durante il viaggio accada una tragedia come quell’incidente in Catalogna non è impossibile.
Anzi.
Purtroppo, come dicono le statistiche in fatto di sicurezza stradale, gli incidenti su gomma fanno più vittime di quelli aerei, e quando si tratta di mezzi che trasportano tante persone le percezione di pericolo si moltiplica (sebbene le statistiche affermino che un pullman sia 40 volte più sicuro di un’auto).
Allora cosa dovremmo fare, noi mamme apprensive e non: vietare le gite, le escursioni, i viaggi?
Perché invece non chiedere a gran voce più sicurezza stradale?
In Italia ad esempio, l’ Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (Anav) suggerisce il rispetto delle regole che già esistono, per un viaggio su strada in sicurezza.
La prima di queste regole è la più scontata: evitare i servizi che offrono prezzi stracciati.
Il presidente Anav Nicola Biscotti, in un’intervista a Motori.it avverte: “Il prezzo medio di un servizio di trasporto scolastico è di circa 1,60 euro per passeggero km“, meno di questo dovrebbe far sospettare.
La manutenzione dei pullman poi deve essere costante e puntuale: controllare l’usura di pneumatici, verificare la presenza di un estintore a bordo, accertarsi delle revisioni che diano conferma che tutti i dispositivi di bordo siano in regola e funzionanti.
In Italia ancora oggi non è così purtroppo.
Nel settore del trasporto di turisti infatti troppo spesso al risparmio si accompagna la mancanza di sicurezza. L’ingegnere Riccardo Cornetto (direttore commerciale EvoBus Italia), sentito dal magazine Quattroruote sull’argomento ha risposto: “In Italia più del 56% dei bus in circolazione ha più di 12 anni – Ciò non comporta necessariamente che i mezzi non siano sicuri, questo dipende soprattutto dalla manutenzione, ma in 12 anni i costruttori hanno sicuramente sviluppato nuovi sistemi come l’Aebs o il dispositivo Ldws, il sistema di mantenimento della carreggiata”.
Al mondo d’oggi poi, con tutta la tecnologia di cui siamo circondati, avere maggiori prestazioni anche su questi pullman sarebbe assolutamente possibile.
Dopo essermi fatta un giro in rete, ho scoperto tutto un mondo sulle attrezzature che potrebbero essere in dotazione sugli autobus che trasportano passeggeri, come quelli delle gite scolastiche e d’istruzione.
Dal 1 novembre 2015 ad esempio una legge europea obbliga che determinati autocarri debbano installare tutto un sistema di frenata che rende più sicuri questi veicoli – si chiama sistema EBA (Fonte: Tuttotrasporti.it)
Alcune case di costruzione inoltre integrano questo sistema con sensori, radar e telecamere su parabrezza e parte anteriore dei veicoli. Un processore poi incrocia dati come presenza di ostacoli, velocità e tempi di frenata e questi mezzi dovrebbero potere dare una affidabilità molto alta.
Non solo questo è stato messo a punto per la sicurezza stradale.
Sistemi che rilevano la distanza di altri veicoli, freni di emergenza, programmi di stabilità, addirittura sistemi che consentono di controllare la guida sulla carreggiata, tutti dispositivi che, se installati, farebbero di un viaggio in pullman un’esperienza quanto mai sicura e rilassante.
Questo però probabilmente non è ancora abbastanza.
Per quanto le macchine siano sempre più progettate con livelli di perfezione molto importanti, anche chi è al volante dovrebbe ricevere una adeguata preparazione.
Non dimentichiamo che non si diventa piloti di Formula Uno solo perché la macchina è velocissima.
La formazione per i conducenti di autobus che trasportano persone dovrebbe essere massima e accurata, e proprio perché oggi ci sono sistemi intelligenti si dovrebbe pretendere intelligenza anche dagli esseri umani pensanti.
Se anche, come è vero, esiste un sistema che incrociando dati come sterzata, velocità, segni di comando dell’autista, il pullman si rendesse conto dell’affaticamento del guidatore e in automatico accendesse la spia con la tazzina di caffè (giuro, esiste, viene montato a richiesta sui pullman della Mercedez), sempre e solo l’uomo al volante dovrebbe avere la lucidità di fermarsi quando avverte maggiore stanchezza, di rallentare, di riposarsi, insomma dovrebbe avere la maturità di sapere di essere responsabile di vite altrui.
E scendere da quel pullman, prima che succeda un’altra Catalogna.
Allora, che dite, ce lo mando mio figlio in Inghilterra?