Ultima modifica 10 Maggio 2021
La moda della corsa è dilagata anche nel pordenonese già qualche anno fa.
Anche il mio idraulico si comportava come un Forrest compulsivo, dopo le sette di sera. Inizialmente non ci facevo caso, vedevo a malapena queste giacche fluorescenti che costeggiavano la strada mentre io cercavo di orientarmi tra poppate e panni da lavare.
Un mondo parallelo, una realtà lontana anni luce dalla mia.
Il giro di boa c’è stato quando anche il secondogenito ha cominciato l’asilo e sono stata presa da quell’ebrezza da ora d’aria libera. Dopo anni, finalmente avevo riacquistato il diritto di organizzarmi il tempo come meglio credevo.
Prima di tutto ci voleva un’analisi, logica e tremendamente lucida: ebbene sì, era vero, qualche chilo era sicuramente di troppo e giravo confusa in attesa di un’illuminazione.
Palestra? Noioso, duro tre mesi e poi mi passa l’entusiasmo.
Piscina? Meraviglioso, ma vado e chiacchiero tutto il tempo.
Boxare? Sono tosta ma forse non così.
Pattinaggio? Rassoda il sedere ma non ci avevo mai provato (due figli riempivano già abbastanza il mio bisogno di novità).
Improvvisamente, mentre ero al parco con i bambini, ho visto una mamma, splendida, che correva con il suo passeggino a tre ruote e dentro il suo bambino beato che dormiva. Un quadretto idilliaco.
Come avevo fatto a non pensarci prima?
Così mi sono convertita subito alla corsa. Andavo con ogni temperatura, ogni situazione metereologica, nei giorni che avevo prestabilito. Saltavo la mia routine solo a causa dei bambini malati, assente giustificata. Da quei primi tempi, in cui il fiato era poco e la resistenza a livelli imbarazzanti, ora le cose sono migliorate, almeno al limite della decenza.
Quando arrivo al campetto, oggi mi riconoscono tutti. Un po’ per il rosa scintillante della mia maglia alle otto di mattina ma anche un po’, me ne vanto, per le mie doti atletiche, soprattutto rispetto agli altri. I primi della classe arrivano sempre in pausa pranzo e si distinguono in due grosse categorie: da una parte i silenziosi che, forniti di i-pod, corrono al ritmo delle loro personalissime play list, dall’altra i chiacchieroni che fondono corsa e rapporti sociali (e che invidio tantissimo visto che riescono a coordinare insieme fiato, parola e pensiero).
Quando vado io, al cantar del gallo, di solito siamo i soliti cinque o sei: io, mamma folle esaurita, un paio di badanti moldave che chiacchierano in un idioma incomprensibile (per fortuna non capisco quello che dicono sul mio conto!) e qualche nonnetto arzillo sostenitore del walking.
Un bel testa a testa tra me e loro: io, che sarei la rappresentante del genere “giovane”, devo tenere una certa decenza mentale e strutturale mentre loro, cui l’età concederebbe una buona attenuante, si rifiutano di farsi superare e vanno con quel passetto svelto svelto a zig zag che ostacola il mio sorpasso.
Insomma, doppia fatica: da una parte coltivare la voglia di correre, dall’altra l’amor proprio per non fare una figuraccia, soprattutto davanti a chi non si conosce (ma son sicura che loro sanno benissimo che “sono la moglie di” perché abitiamo in un comune di poche anime).
Correre mi piace, anche se non sono molto brava.
Neanche portata, ammettiamolo.
Secondo me è una “questione di feeling” (ricordate la canzone?).
Come faccio ad essere a mio agio in uno sport senza tacchi? Insomma non è una cosa per me naturale. Senza contare che devo partire da casa, per la consegna dei bambini alle rispettive scuole, vestita sportivamente. Lo scrivo? Lo dico? Tuta e scarpe da ginnastica. Mi vengono i brividi solo a pensarlo.
Per carità, è per una giusta causa, ovvero la riduzione dei centimetri di grasso nelle foche monache, ma mi costa tanta fatica. In più la situazione “rasoterra” di prima mattina mi demoralizza non poco. Ci vorrebbe un genio che pensasse a uno sport sui trampoli, che non sia l’equilibrismo, oppure, in alternativa, ad una scarpa da sport ma col tacco.
Come mi ha fatto notare la mia amica Selena, qualcuno ci ha fortunatamente pensato, per aiutare le sciroccate come me e come Paola Maria, che con il suo articolo ha dimostrato a pieni voti di poter entrare nel club!
Con queste sneakers ai piedi posso sentirmi più a mio agio anche nella mia maratona mattutina. Parliamo sempre di una scarpa da ginnastica, quindi manca sempre la sensazione “piede a Cenerentola”, teso verso la scarpetta di cristallo. Contando però, che lo faccio per tonificare quello che ormai tonico non è più, qualche mattina a settimana lo posso anche sopportare (per poi volare a casa per doccia e cambio vestiti). Queste scarpe sono in versione rosa porcellino, che s’intona perfettamente con la mia tenuta sportiva, oppure anche in versione total black per le amanti del genere dark. Con questo un effetto ottico davvero intrigante potrei fare una corsetta anche in pausa pranzo, per vedere “da lontano l’effetto che fa” come diceva il bravo Iannacci. Anche perché, vista la compagnia delle indie che mi ritrovo al mattino, magari mancano le diottrie per notare una sottigliezza che cambia la mia giornata.
Il tacco è questione di testa, non di piedi, come dice Paola Maria, e devono averlo capito anche in America, dove hanno inventato questo nuovo prototipo. Un po’ come dire che le taccate lo sono sempre e comunque, anche in situazioni naturalmente avverse ai trampoli, come la corsa. Verità suprema, perché ho cercato di ordinare le scarpe, già sold-out nei numeri 37, 38, 39 i più comuni tra le donne europee. Niente da fare, solo Cenerentola può permettersi il red carpet anche al parchetto mattutino.