Io mi sono sentita mamma immediatamente, un secondo dopo aver fatto pipì sulla provetta (a proposito: le mani di urina ve le siete bagnate anche voi, oppure sono scema soltanto io?). Un attimo dopo aver visto che il test era positivo, ho detto: “Sono mammaaaaaaa!”. Ho smesso di fumare, di bere quelle due dita di vino che mi concedevo di tanto in tanto, persino di masticare chewingum perché mi avevano detto che poteva fare male al bambino. Appena ho fatto la prima ecografia, mi sono precipitata a pubblicarla su Facebook, prima ancora di farla vedere a mio marito, che quel giorno purtroppo era fuori città per lavoro. E pensare che io su Facebook ho appena venti amici e ci vado una volta al mese.
“Sono mamma!” l’ho esclamato subito, con convinzione. Mi sono sentita fortemente mamma, in ogni momento della gravidanza. Nove mesi dopo, è nato Claudio. Era bruttissimo, in un modo difficile da credere. Io me l’ero immaginato biondo, come me. E bello, come suo padre. Sì, lo so cosa state pensando… Che sono una donna orribile, che è mortalmente innaturale che una madre trovi suo figlio brutto. Ma lui brutto lo era sul serio, e se ve lo dice proprio la sua mamma, potete crederci.
E allora, cosa ancora più orrenda a dirsi, per una frazione di secondo ho preso le distanze da lui. Mio figlio non era come l’avevo immaginato, e io non mi sentivo più tanto la sua mamma. Così come non mi sono sentita mamma quando piangeva disperato, tutta la notte. Perché avevo latte a sufficienza, ma lui non succhiava bene, e nessuno sembrava in grado di aiutarmi in questa situazione. Avevo i seni gonfi come palloni, ma non riuscivo a nutrirlo come si deve. Ho dovuto dargli il latte artificiale dopo appena un mese. Mi aveva massacrato il seno, perdevo sangue così come neanche un flagellato a morte. E lui, invece di crescere, perdeva peso.
Non riuscivo a fare la cosa più naturale del mondo: nutrire mio figlio. Ho pianto tanto, tantissimo. E mi sono sentita meno mamma anche in seguito, quando ero stanca morta perché Claudio non ha dormito per quasi un anno di seguito, né giorno né notte. Sì, lo so che ci sono bambini che non dormono per dieci anni di fila, ma quei 365 giorni di abbondante stanchezza non mi hanno aiutato a sentirmi mamma. Mi sentivo una fallita, invece. Perché i figli delle altre dormivano. Il mio no.
E mi sono sentita decisamente poco mamma la notte in cui mi è caduto dalle braccia. Eravamo sul lettone, per fortuna, ma per un pelo non è rotolato sul pavimento. Mi ero addormentata, di schianto. Perché avevo una bronchite terribile e la febbre alta, e lui, come al solito, si era svegliato urlando. Per la sesta volta, quella notte.
Ci sono stati tanti momenti successivi in cui mi sono detta: “Sono mamma?” Sì, con il punto interrogativo, perché la mia vita era diventata piena di punti interrogativi. Mi interrogavo sulle mie capacità, mi confrontavo con quelle che, secondo me, erano molto più brave. Molto più “mamme”.
Poi, pian piano, le cose sono migliorate. Lui ha iniziato a dormire, e io a riprendere fiato. Abbiamo imparato a volerci bene sul serio, a respirarci l’un l’altra senza ansia. Siamo cresciuti assieme, io e il mio bardascietto (dalle mie parti i bambini li chiamiamo così). Lui cresceva in peso e in altezza, io diventavo una mamma, sul serio. Senza falsi entusiasmi, senza fretta.
Claudio compirà 3 anni il 25 dicembre. Per questo, scherzando, dico che sono un po’ la mamma di Gesù e mia zia, che è suora, ogni volta che lo faccio alza gli occhi al cielo e si fa il segno della croce.
Pensare “sono mamma” è diverso da dire “ora mi sento una mamma”.
E’ un po’ come quelli che si sentono belli e poi, un giorno, si guardano allo specchio e vedono che invece hanno la faccia da rana. Credi di essere pronta, da subito, e invece non è esattamente così. E adesso, che sono incinta della mia seconda figlia, ci vado molto più cauta. Mi sento già la sua mamma, è ovvio. E amo tutto di lei, ognuno dei calci sui reni che mi regala la sera, quando mi sdraio sul letto e lei ha voglia di chiacchierare un po’.
Ma aspetto che lei esca dalla mia pancia prima di esclamare un’altra volta: “Sono mammaaaaaa!”. Non un secondo dopo essermi schizzata le dita d’urina, un po’ per l’emozione, un po’ perché mi sa che sono davvero scema.