Ultima modifica 20 Febbraio 2020
L’amore è amore, che ci sia anche un matrimonio o no.
Per la legge italiana però non è così.
Eppure secondo l’Istat nel 2011 il numero dei matrimoni celebrati è ancora diminuito, mentre sono in crescita le convivenze.
In Italia quasi sei milioni di persone hanno sperimentato nel corso della loro vita la convivenza. Considerando sia quelle che continuano a convivere, sia quelle che si sono sposate dopo la convivenza, sia quelle che hanno concluso definitivamente l’unione.
Il trend negativo per la celebrazione dei matrimoni è iniziato nel 1972 e si è fortemente accentuato dal 2007 e sono diminuite anche le seconde nozze.
Due coppie su tre scelgono la separazione dei beni.
Sono diminuite le cerimonie religiose (che restano comunque prevalenti) ma aumentate quelle civili (quasi il 40%), scelte anche da persone che non sono divorziate.
Per curiosità gli sposi civili sono di più a Bolzano (il 62,6%) e di meno in Basilicata (il 13,4%) e l’età media di chi si sposa per la prima volta è intorno ai 33 anni per gli uomini, 30 per le donne.
Il giorno del sì segna uno spartiacque fondamentale.
Prima (o senza) non esiste una regolamentazione dei diritti dei partner.
Né patrimoniale né personale, e solo dal primo gennaio è in vigore la legge che equipara i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio con quelli delle coppie sposate.
Facciamo qualche esempio per capire le differenze.
Un convivente non è tenuto a partecipare coi propri redditi alle spese della coppia.
Ma non può domandare la restituzione di quello che ha pagato spontaneamente, per un dovere morale ma non giuridico.
Se la casa di abitazione è presa in locazione da uno dei conviventi e sfortunatamente costui muore, il partner può continuare a viverci, fino alla scadenza del contratto.
Se c’è da decidere sul prelievo degli organi a fini di trapianto, va sentito il parere del convivente. Viene risarcito il danno morale patito per la morte del proprio convivente.
Tutto qui.
Non valgono i doveri di fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione, contribuzione alle esigenze della famiglia, che l’art.143 cod.civ. fa discendere dal matrimonio.
Al convivente non è riservata una quota dell’eredità né eredita per legge.
Ma gli possono essere attribuiti beni in testamento o per donazione, senza tuttavia erodere la quota riservata ai parenti prossimi del defunto.
È il caso dell’eredità del grande Lucio Dalla, dalla quale sembra fosse escluso il partner, per reintegrare la quota riservata ai genitori.
Al convivente non spetta di regola la pensione di reversibilità, a meno che non sia previsto per la specifica Cassa previdenziale o dal contratto assicurativo previdenziale.
Se il partner si trova nell’incapacità di parlare o esprimersi, il convivente può fornire o negare il consenso al trattamento medico sanitario solo se è stato nominato amministratore di sostegno con un decreto del giudice tutelare.
Queste differenze si giustificano, secondo un’opinione, perché quella matrimoniale è una scelta, e chi non si sposa lo fa per scelta. Quindi, almeno fino a quando (e se) verrà introdotta una disciplina dei diritti dei componenti delle “coppie di fatto”, la legge tutela le convivenze come formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Ma non le equipara alle famiglie fondate sul matrimonio, a cui è dedicato l’art. 30 Cost.
Personalmente, non la penso così, perché non a tutti è concessa quella scelta.
Non può sposarsi chi è già stato sposato, e fino al divorzio.
Il che significa attendere almeno tre anni dalla separazione e sostenere le spese e il travaglio di due processi.
E la beffa si aggiunge al danno perché, a meno di aver liquidato in unica soluzione l’assegno di mantenimento per l’ex coniuge, quello potrà domandare anche dopo anni un assegno divorzile, unico (ma notevole!) elemento di sopravvivenza del primo matrimonio.
Non possono sposarsi le persone che amano un partner del loro stesso sesso, e in questo caso non cambia nulla col tempo.
Si potrebbero alleviare le questioni patrimoniali acquistando la casa in comproprietà, o cointestando il conto corrente bancario, ma resta la quota di eredità riservata ai parenti e da cui è escluso il partner, e non è possibile domandare la nomina di un amministratore di sostegno fuori dai casi in cui la futura incapacità è più che probabile.
Personalmente ho vissuto una convivenza da cui è nato mio figlio. Pochi mesi fa ci siamo regalati una festa di matrimonio, che per noi è stata questo soltanto.
Un modo per festeggiare il nostro amore, senza che nulla cambiasse tra il giorno precedente e quelli a venire.
Discriminare l’amore di chi è coniugato da chi non lo è, per me non ha senso.
Specialmente perché non è raro il caso delle coppie separate in tribunale, ma insieme di fatto, per giovarsi dei diritti di coniuge. Insieme della separazione dei patrimoni, anche a fini fiscali, per ottenere certe agevolazioni basate sul reddito familiare, e per mettere i beni al riparo dai creditori.