Ultima modifica 10 Ottobre 2019
Ho cominciato a studiare il mandarino sei mesi prima di venire in Cina. No, non è vero: avevo cominciato già anni addietro, quando ancora i figli non c’erano e l’idea di trasferirsi ad est non esisteva nemmeno nell’immaginazione. Per due anni, un paio di volte a settimana io e mio marito siamo andati all’Università Popolare di una città vicina e abbiamo fatto lezione di cinese assieme ad un gruppo variegato di persone che, come noi, avevano iniziato a studiare quella lingua più che altro per curiosità. Qualcuno direbbe il destino…
Anni dopo la possibilità del trasferimento si fa concreta. Io, che avevo amato moltissimo studiare il cinese, mi metto subito a cercare una scuola dove poter fare lezioni: missione impossibile! Dalle mie parti trovare un corso di cinese è cosa rara. Alla fine ho trovato un signore cinese che insegnava privatamente e andavo a fare lezione nel suo bar, mentre i clienti si bevevano il caffè! Il fatto di dovermi sforzare a parlare mandarino in quella situazione nella quale mi ascoltavano tutti, mi ha permesso di superare l’imbarazzo del parlare in una lingua con suoni così diversi.
Poi sono arrivata qua ed ho cominciato con le lezioni in una scuola privata. Con i debiti intervalli tra un ciclo e l’altro, non ho più smesso.
Come ho resistito tanto? Molti degli stranieri che iniziano a studiare questa lingua si fermano al primo ciclo. Io devo dire che sono sempre stata motivata da una profonda passione per lo studio del mandarino: mi sono sempre divertita a lezione, mi è sempre piaciuto applicarmi. Certo, ho anche avuto momenti di sconforto: quando non sono riuscita a comunicare con un cameriere, ad esempio, o quando mi sfuggiva una parola che avrei dovuto sapere benissimo…
Per noi europei il cinese mandarino è una lingua difficile, perché è diversa. All’inizio sembra semplice: la grammatica è quasi inesistente, non ci sono tempi dei verbi, plurali, femminile e maschile. Poi si complica: per riuscire ad esprimersi con tutte le sfumature che la lingua permette, i cinesi usano una struttura della frase molto rigida ed un’infinità di paroline e costruzioni diverse. Una delle maggiori difficoltà del cinese è il fatto che si tratta di una lingua sillabica: esistono soltanto 400 sillabe (per intendersi suoni come shi, tong, bao, dao, eccetera) con le quali si formano tutte le parole. Risultato? Alle orecchie di uno straniero tutte sembrano uguali! Certo, arrivano in aiuto i toni, con i quali è possibile modulare queste sillabe in modo da creare ancora più significati. Che cos’è un tono? È il modo di pronunciare la sillaba che può essere ascendente, discendente, discendente-ascendente e alto.
Ma in realtà, i toni non fanno che complicare la vita al povero straniero, costretto a trovare tutti i metodi possibili per memorizzare le parole con il giusto accento. La sola sillaba “shi”, ad esempio, ha più di 40 significati nei quattro toni (ho contato sul dizionario!). Ne va da sè che memorizzarli tutti è molto difficile.
A rendere la situazione ancora più “pepata” ci si mettono gli ideogrammi, ovvero i caratteri cinesi, ognuno dei quali rappresenta un significato. Prescindere dallo studio degli ideogrammi, se si prosegue con l’approfondimento del mandarino, è impossibile: essi caratterizzano la parola, aiutano lo sventurato studente a riconoscerla e, perché no, a memorizzarla. E per impararli a memoria serve solo la pratica.
Forse adesso penserete che, dopo tutti questi anni di studio, io sappia parlare il cinese fluentemente… nulla di più sbagliato!
Me la cavo nella vita di tutti i giorni, questo sì. Sono anche capace di messaggiare in cinese per prendere appuntamenti e mettersi d’accordo per orari. Ma sono ancora lungi dal raggiungere il mio obiettivo: ovvero essere capace di parlare cinese come parlo l’inglese (cioè magari con errori e inesattezze, ma riuscendo ad esprimermi in ogni contesto senza stare ore a pensare alla parola che non viene, spontaneamente e con una certa fluidità).
Ammetto che alle volte mi sembra un obiettivo irrealizzabile… anche perché, paradossalmente, le occasioni per chiacchierare in mandarino non sono tantissime. Fra genitori a scuola si parla inglese e con le persone in strada si scambiano magari due convenevoli, ma non certo tutti hanno la pazienza di starti a sentire mentre vaneggi sul tempo atmosferico o i tuoi hobby preferiti.
E poi la Cina è enorme ed esistono innumerevoli variabili di dialetti, alcune volte non capisco davvero quello che mi dicono perché magari l’accento è molto diverso da quello standard.
Ma non demordo! Anzi, contagiata dall’entusiasmo della mia compagna di corso, una gentile ed entusiasta signora francese, la prossima settimana proverò a fare l’esame HSK, ovvero quello che certifica ufficialmente il livello di conoscenza del mandarino. Ci sono sei livelli e io farò il terzo, quello intermedio: prevede di esser capace di comprendere una fase di listening di circa quaranta minuti (vari dialoghi con domande), di saper leggere dei testi e di essere capace di scrivere alcune parole. Il totale di caratteri che bisognerebbe sapere si aggira sui 600.
Come andrà? Speriamo bene! Lo faccio per il puro gusto di attestare (più che altro a me stessa) la conoscenza del cinese che ho acquisito finora, ma se dovessi non passare la sessione non so se mi verrebbe voglia di provare di nuovo e tutto sommato sarebbe un peccato. Fatemi gli auguri, ne ho davvero bisogno!
Antonella Moretti