Ultima modifica 10 Ottobre 2019
Andiamo in California per tre anni!
L’annuncio ufficiale a parenti e amici fu piú o meno questo. Seguito dai tanti “beati voi”, “voglio venirci anch’io” e qualche sporadico se non unico (dei genitori) “ma chi ve lo fa fare”.
Nessuno però sapeva cosa avrebbe significato per 4 bambini di età tra i 12 anni e i 18 mesi, quell’ andiamo in California!
E si perché io ho 4 figli: Chiara, che oggi ha 13 anni, Flavia di 10, Gabriele di 5 anni e il piccolo Stefano di 2 anni.
Trasferirsi con 4 figli in California. Come fare con la nuova lingua?
Quattro figli, 4 diversi modi di adattarsi alla nuova vita e devo dire che la realtà ha superato di gran lunga la fantasia, nel bene e nel male. Primo grande ostacolo: la lingua.
Chiara non ha avuto grossi problemi ad adattarsi, visti i suoi 7 anni di corsi Cambridge frequentati in Italia. Flavia, 9 anni quando siamo arrivati in California, ha dovuto fare i conti con muro insormontabile.
Ricordo come un incubo le prime lezioni.
La maestra parlava americano, leggeva una narrativa sulla quale i bambini dovevano rispondere a delle domande, ma lei non capiva nulla.
“Non ci capisco niente, riportami a casa”.
Il suo pianto era straziante…”voglio Giulia” (la sua amichetta del cuore italiana).
Ma mai in tutti questi pianti c’era un “mi manca la mia maestra”. Qualcosa di buono c’era quindi in California… la maestra. Angela di nome, un angelo di fatto.
Mia figlia non capiva una parola di inglese, ma si sentiva al centro dell’attenzione.
La maestra aveva capito quanto fosse timida e ha fatto di tutto per tirare fuori la sua petsonalità.
Abbiamo passato pomeriggi e anche notti sedute io e lei a leggere e tradurre quella narrativa, mentre la maestra cercava di capire qual era la cosa che avrebbe reso forte Flavia facendole amare la nuova realtà.
Lo sport, il basket che le era stato negato dalla maestra in Italia (perché troppo esile) qui é diventato il suo punto di forza. Le ha fatto imparare una nuova lingua e cosa piú importante le ha fatto guadagnare tanti amici.
Oggi lei é l’esempio da seguire per le bambine della sua classe e motivo di vanto per la maestra che dice “vorrei almeno 5 Flavia nella mia classe”. Fino a un anno fa la sua vita ruotava attorno a delle scarpette di danza, oggi ruota attorno ad una palla da basket… anzi ad una basketball. Perché lei che non parlava una parola di inglese adesso ha pure lo slang americano.
E poi ci sono loro… i miei due cuccioli.
Gabriele, il cinquenne non conosceva una sola parola in inglese e quando provavo a insegnargli qualcosa mi urlava “smettila!”.
Lui piccolo ha dovuto lasciare il suo asilo, le sue adorate maestre e i suoi compagni per arrivare in questa terra sconosciuta. La domanda piú frequente era “quando torniamo in Italia?”.
All’inizio non andava neppure all’asilo. Aveva la tv, ma parlava una lingua sconosciuta.
Ok rimbocchiamoci le maniche anche con lui.
Cerchiamo una preschool, una di quelle belle luminose e cosa piú importante che avesse i suoi amati Lego.
Trovata! 2 Novembre Gabriele inizia ad andare a scuola.
Ci andava volentieri, però lo trovavo sempre da solo a giocare, ma i bambini sono fantastici e piano piano hanno iniziato ad avvicinarsi a lui incuriositi da quello che costruiva con i mattoncini.
What is this? Gli chiedevano.
La prima volta non ha capito, non ha risposto, la seconda forse neppure, ma piano piano, parola dopo parola ha iniziato a giocare e interagire con gli altri e con le maestre ed é bellissimo sentire i bambini che lo salutano bye bye Gabriel, see you tomorrow! Lui se la tira, non sempre risponde al saluto, ma se la ride sotto i baffi.
E adesso Stefano, 2 anni.
Io non so se lui inizialmente ha capito cosa fosse successo.
Forse per lui sarà stato solo un cambio di casa.
Per il resto la sua vita scorreva come prima.
La sua culla e il suo biberon lo avevano seguito nel lungo viaggio. Solo la tv parlava una lingua diversa e mamma e papà che ogni tanto dicevano don’t touch it invece di non toccare.
Eravamo convinti che trasferirsi con 4 figli in California, non sarebbe stato un problema.
Che per il nostro piccolo di casa italiano o americano non facesse nessuna differenza.
E invece? Invece ha sorpreso tutti quando un bel giorno mentre visitavamo un museo si rivolge al papà chiedendo “What is this?”…eh? Cosa? Scusa puoi ripetere?
E lui what is this? E chi gliel’ha insegnato? Ma sa cosa significa?
Sono state le nostre domande.
Sí, sapeva cosa significava perché indicava col ditino e continuava chiedere what is this?
Per 7 mesi lui era stata una sorta di spugna, aveva assorbito tutto quello che l’ambiente esterno gli offriva.
Adesso non parla ancora inglese, ma abbiamo capito che anche lui, a 2 anni, ha avvertito il cambiamento e la sua vita non é fatta solo di culla e biberon.
Trasferirsi con 4 figli in California non è stato affatto facile, ma pieno di grandi sorprese.