Ultima modifica 21 Maggio 2018
Ciao, io sono Emanuela, mamma di un bimbo di 3 anni e mezzo. Sono espatriata nel 2007, lasciando i lavori che svolgevo in quegli anni pendolando tra varie città della Lombardia. Sono una tra le tante cosiddette “mogli al seguito” cioè espatriata per raggiungere il mio compagno che lavorava in Libia.
Ho trascorso il primo anno laggiù alla scoperta graduale di quel paese così poco conosciuto e fuori dal giro del turismo di massa e pure di nicchia, un paese non prevedibile, ricco di sorprese positive e negative, in realtà poche queste ultime rispetto l’esperienza che vale la pena vivere.
Ebbi conferma della mia gravidanza grazie a uno stick dal costo di 70 centesimi, molto sobrio ma efficace quanto i nostri costosissimi e sofisticati omologhi. Dopo poco tempo decisi di tornare in Italia soprattutto perché il sistema sanitario libico era in condizioni di arretratezza tecnica, cioè con uno standard rimasto agli anni ’80.
Rientrai a Tripoli quando il mio bimbo aveva 10 mesi, abbastanza grande per affrontare dei cambiamenti notevoli come temperature alte, orari mediterranei, viaggi e spostamenti di un certo peso.
Una delle cose che mi sorprese all’arrivo fu la mancanza assoluta di omogeneizzati di carne nei supermercati libici. Oggi con una consapevolezza diversa, avrei accolto quasi con piacere o indifferenza questa assenza, ma allora (sono passati solo 3 anni) mi trovai un attimo spiazzata. In realtà in Italia non è che usassi spesso prodotti pronti, ma mi venivano utili in qualche situazione legata alla fretta o alla mancanza momentanea di fantasia. La vita di mamma in Italia appare più semplice perché è più ampia l’offerta di cibi differenti, tagli di carne di ogni tipo e attrezzature ed elettrodomestici che lavorano per noi, quindi cucinare è più facile e veloce.
Non ce ne rendiamo conto, noi generazioni di “giovani urbanizzati cresciuti lontano dalla campagna”… In Libia, mancano gli affettati (comodo il prosciutto cotto per le pappe), trovi pollo, manzo e agnello, poco frollati quindi poco teneri e non proprio pronti alla cottura, perché in macelleria non sono stati privati di pelle, tendini e grasso, ci devi pensare tu e attrezzarti. Pure le verdure, buonissime e fresche, si trovano in uno stato più “primitivo” rispetto alle nostre abitudini. Questo significa impiegare molto più tempo a preparare cibo (anche semplice) perché va “lavorato” e finito prima di metterlo in pentola. Inoltre mancando le certificazioni veterinarie, maneggiare la carne richiede un’attenzione più scrupolosa. Comunque, una volta rimediata l’attrezzatura tornare alle ricettine di nonna è stato facile.
Il cibo confezionato che avevo portato in valigia mi venne invece molto utile per le gite domenicali (in realtà laggiù è venerdì il giorno di riposo) nei territori deserti dell’entroterra libico, quelli di sabbia rosata e cespugli che si vedevano nelle cronache della rivoluzione di questi mesi. Eh sì perché il weekend laggiù non è proprio una Disneyland, bisogna inventarsi qualcosa per arrivare a sera.
In Libia le usanze sociali sono differenti, esistono forti legami e interazioni familiari, il tempo che si trascorre tra parenti di ogni grado è sufficiente per spendere la giornata in compagnia, visite a casa e pranzi o gite e pic-nic sulla spiaggia o nei magri prati ombreggiati da palme, eucalipti o ulivi sono attività che forse non rendono necessari i diversivi inventati in Occidente per passare la giornata. A loro basta questo e forse hanno ragione.
Fino a pomeriggio inoltrato il venerdì tutte le attività sono ferme, le strade vuote e desolate, tutti sono in casa a parte l’ora della preghiera mattutina quando vedi gruppetti di uomini dirigersi verso le moschee. Dopo una golosa colazione a base di crèpe, frappè di fragole fresche e cappuccino si parte con meta a scelta tra: l’entroterra o la costa, Gharyan le terracotte e le case troglodite, la spiaggia dei bulgari (mai trovata), la spiaggia di Sabratha, bellissima a un’ora a ovest di Tripoli. In pratica si trascorre molto tempo in auto con musica varia e aria condizionata che ti solleva l’umore e la pressione; verso il tramonto ci si ferma dai fruttivendoli a bordo strada ad acquistare i prodotti freschissimi per la settimana tra i quali frutta strepitosa come il mango africano che rimpiangi tanto quando torni in patria. A tenerci compagnia fino a notte, folate di vento, fresco o caldissimo che ti riempiono di sabbia fino ai luoghi più improbabili. Poi, volendo, cena in uno dei tanti locali poco costosi della città o periferia.
Ah, dimenticavo, il costo della vita in Libia, fino all’inverno scorso (2010) era bassissimo, gli alimentari, i ris
oranti, il pane e la benzina erano veramente cheap. Ad esempio, il pane, buonissimo e sfornato a tutte le ore, con un dinaro, cioè 70 centesimi se ne acquistava un sacchettone con 7/10 pezzi (avete provato il pane arabo spalmato di hummus?). La verdura, idem, non ho mai capito però perché dal mio fruttivendolo preferito, sia che comprassi quattro pomodori sia che acquistassi 4 sacchi di ortaggi vari, il prezzo finale era sempre 8 dinari… Ecco, i libici, a differenza degli altri paesi africani, non trattano sul prezzo, quello è, comunque sempre conveniente.
Un’altra sorpresa che per me è stato un punto di non ritorno nel considerare le priorità: in Libia i bambini sono sempre i benvenuti. E non intendo il sorriso che tutti son tenuti ad offrire, no, qui quando un bambino entra in un locale pubblico, il personale interrompe momentaneamente ciò che sta facendo, ti viene incontro, abbraccia e benedice i piccoli: “Masha’Allah” dice, poi cercano in qualche armadio e trovano un regalino o un dolcetto e se non lo trovano, escono e lo comprano. Questo modo di considerare i piccoli mi ha illuminata e fatto capire molte cose. Bimbi e anziani, sono considerati e rispettati dalle persone in una maniera che in occidente sta perdendosi.
Comunque la tranquillità del venerdì è momentanea, tutti i giorni della settimana la città brulica di persone e di auto, i negozi sono aperti fino a tarda notte e non è difficile fare uno spuntino, comprare l’acqua o trovare una farmacia aperta.
Invece non è semplice avventurarsi alla guida di un auto, pur grande e sicura, avrete sempre la sensazione che qualcuno vi piombi addosso da qualsiasi lato, magari ci si abitua, si impara la regola del “nessuna regola”, io ancora questo passo non l’ho fatto. Eppure nonostante le arrabbiature momentanee per uno stop affrontato con leggerezza è difficile trovare persone che si sentono giustizieri del traffico che ti insultano rancorosi e ti lasciano l’amaro in bocca, “maaleesh” dev’essere il loro pensiero che significa tante cose, pazienza, perdono, non prendiamocela. E non se la prendono…
Ci vorrebbero capitoli per raccontare la vita tripolina, infatti ho aperto un blog con l’intenzione di aggiornarlo con notizie ed esperienze serie e leggere raccolte sul luogo, cosa che potrò fare pienamente quando la situazione si sarà stabilizzata e portò ritornare laggiù senza correre pericoli.
La vita a Tripoli appare in un primo tempo più complicata che da noi, spesso ti mette alla prova ma alla lunga questi luoghi, persone, atmosfere ti rimangono dentro con un’intensità che non puoi ignorare e ti viene voglia di rivivere al più presto. Se poi la situazione o il clima diventa un po’ pesante, noiosa e hai voglia di staccare, non è difficile tornare in Italia per farsi coccolare e viziare da qualche vecchia abitudine.
Emanuela