Ultima modifica 21 Aprile 2021
Sono sull’aereo da solo con le gemelle e il piccolino.
Panico. Una signora mi chiede, e la moglie? Il marito, la correggo.
Ah! Esclama la signora. Ma allora lei è Claudio Rossi Marcelli!
Parto da questo aneddoto che Claudio mi ha raccontato venerdì scorso, quando l’ho incontrato a Milano per una chiacchierata. Parto da qui perché mi sembra il modo migliore per presentarlo a chi di voi mamme ancora non lo conosce.
Un papà speciale, anzi… due!
Claudio Rossi Marcelli, papà, giornalista e scrittore (in ordine rigorosamente sparso), risponde alle domande dei genitori nella sua rubrica Dear Daddy su Internazionale.
Queste risposte sono state finalmente raccolte in un libro intitolato Lo zoo delle famiglie: Manuale per genitori moderni e molto moderni, edito da Vallardi.
Qualche mese fa mi sono resa conto che io e Claudio Rossi Marcelli siamo quasi coetanei.
Stavo leggendo uno dei suoi libri, E il cuore salta un battito, quello in cui racconta come ha conosciuto Manlio, che poi è diventato suo marito, e mi sono accorta che i suoi vent’anni assomigliavano un sacco ai miei. Per la musica, per i film in uscita al cinema…
Cose del genere. Credo che sia il fatto che ha dei figli, ad avermi ingannato.
Sono quasi vent’anni che i miei compagni di scuole elementari/medie e superiori si moltiplicano, ma non me ne sono ancora fatta una ragione.
Per me quelli che hanno dei figli sono GLI ADULTI: io sono sì, va be’, un’adulta, ma per finta.
E poi soffro della sindrome di Beverly Hills: sono cresciuta in un mondo in cui i miei coetanei venivano interpretati da gente con le rughe sulla fronte, non sono capace di dare l’età alle persone.
Quando incontro Claudio in Triennale, dove sta per partecipare a un evento intitolato “L’arcobaleno delle famiglie“, glielo dico subito.
E gli chiedo: ma tu quand’è che hai capito di essere grande?
Quando non puoi più chiamare tua madre o tuo padre per fare le cose al posto tuo. Ovviamente qualcuno gliel’ha già domandato, e ha la risposta pronta.
Una storia di gatti morti in giardino che in realtà sono topi, per dire che diventi grande quando senti che il responsabile sei tu.
È vero: è che dopo avere letto la sua vita raccontata mi sono fatta l’idea che abbia sempre avuto la testa sulle spalle, a differenza mia.
Ma no, è testardaggine più che maturità, mi dice.
Come con l’idea di mettere su famiglia. Lo desideravo già da bambino, e quando ho capito di essere gay ho pensato, be’, è solo una deviazione di percorso, un modo lo trovo.
E in fondo, aggiunge, decidere di avere dei figli è una forma di incoscienza. Una persona matura mica li avrebbe fatti.
E però adesso ti sei messo a dare consigli agli altri genitori, gli dico.
Cioè, se non è maturità questa.
Ma, di nuovo, ha la risposta pronta.
Parto sempre da me, è vero – da quello che mi succede o da quello che succede alle persone che incontro. Ma si tratta semplicemente di parole di buonsenso.
Quando parli con gli altri è più facile. In casa mia non metto mai in pratica quello che scrivo. Quando qualche genitore mi chiede come faccio a sapere sempre qual è la cosa giusta da fare gli consiglio: apri un blog e rispondi ai dubbi degli altri. Funziona!
Io non lo so se gli credo: cioè, lo so che tutti tendiamo a predicare bene e razzolare male, ma lui secondo me non poi così tanto.
Provo a stuzzicarlo, allora.
Sulla sua pagina Facebook, molto spesso, Claudio pubblica le foto dei suoi figli.
Io la trovo una cosa bellissima, ma so bene che per molti genitori, invece, è una cosa che proprio non si fa. Ovviamente mi frega di nuovo.
Certo, c’è sempre un po’ di narcisismo, nel mettersi in mostra; ma ogni volta che metto una foto con noi cinque mi arriva una mail per dirmi grazie.
Per molti ragazzi è importante sapere che noi esistiamo.
È un cammino, e ognuno ci arriva – se ci arriva – a modo suo: ma sapere che qualcuno ce l’ha fatta gli apre una possibilità. E poi viviamo in Danimarca, la distanza ci protegge.
Ci è andata così bene che non potevamo non rinunciare a un po’ della nostra privacy per raccontare che sì, si può fare.
In fondo è una delle cose belle della sua rubrica, questa.
Ogni tanto mi scrive qualche mamma, mi racconta, e mi dice che leggendomi si è resa conto che, in fondo, le nostre famiglie sono uguali. Che i problemi e le gioie sono gli stessi.
Dopo la mia chiacchierata con Claudio salgo a vedere il corto Tre Tempi di Chiara Tarfano. Racconta tre storie di omogenitorialità e una è quella di Erika e Rossella, che ho conosciuto l’anno scorso ad Alessandria e rivedo ogni volta con piacere.
Sono diventate mamme quest’estate e sono qui anche loro.
Le guardo sullo schermo e le guardo cullare il piccolo che, nel frattempo, si è svegliato.
E ripenso a una delle cose che mi ha detto Claudio prima: abbiamo deciso di avere dei figli quando ci siamo detti che nostro figlio sarebbe stato fortunato, a nascere e crescere nella nostra famiglia. È proprio così.