Ultima modifica 17 Giugno 2023
Qualche giorno fa guardavo i bambini mentre lavoravano.
Li guardavo uno per uno: le testoline basse che ogni 3 secondi si uniscono per due chiacchiere e poi tornano sul quaderno.
Di venerdì sono stanchi, ma ormai in terza non si può più fare lo sconto, perché devono aver chiaro che le cose, crescendo, cambiano.
E per farle cambiare in meglio serve più impegno, più forza e più costanza, altrimenti mancano soddisfazioni, cioè la materia prima per desiderare di crescere.
Mi è capitato, alla quarta ora del venerdì, di dire “Schhhh” mentre ero solo io a parlare.
Sono segnali da interpretare non solo individualmente, ma empaticamente: anche loro, nel loro piccolo, hanno diritto a svalvolare.
I venerdì me li ricordo molto bene, perché, soprattutto quest’anno, sapendo di giocare al “tiro della corda” (alias allungamento dei tempi di lavoro ed attenzione) penso 10 volte a cosa fare, per stancarli senza stress.
Non so se mi spiego. Si attivano modalità leggere e con una modulazione maggiore, magari fuori dal banco, letture tematiche, riflessioni, piccole passeggiate e brainstorming, al fine di tirare fuori qualcosa di buono e utile…comunque.
Credo che lo facciano un po’ tutti gli insegnanti, chi per credo, chi per esperienza, chi per non morire di pizzichi.
Ecco… dicevo che i venerdì li ricordo bene: in quello scorso è accaduto qualcosa che mi ha dato una bella lezione di vita, come molto spesso accade con i bambini.
Fine della fine della lezione, guardo la LIM e sono le 13.29. Uscita ora 13.35.
Tutti a prendere e riempire lo zaino, compiti scritti alla lavagna che riflette chiarore e si vede pure male.
Di confusione ne basterebbe la metà e io non ho voglia né intenzione di ripetere per la quinta volta di scrivere il compito. Dentro di me penso “tanto è per venerdì prossimo al limite glielo ricordo lunedì” e mi trovo distrattamente davanti alla lavagna ad osservare che nell’agitazione non si facciano male; sì perché iniziano i dondolii con lo zaino pesante in spalla, gli inciampamenti gratuiti da stanchezza, i dispetti involontari che danno il via ai volontari… insomma, incolumità obiettivo primario.
Tra le onde dei preparativi un bambino sta fermo, penna in mano, in piedi, e mi guarda: “Maestra ti sposti che non vedo i compiti?” E fa cenno con la mano di andare verso sinistra. In realtà leggo il labiale, perché il brusiovociostriciosedie è diventato importante. E non essendo impegnata ad ascoltare la sua voce, ho avuto quell’attimo lucido per guardarlo: il viso brillante di uno interessato a fare il suo per sua volontà, né stanco, né preoccupato.
Legge e si butta a scrivere sul diario. Finito, mette il diario nello zaino, chiude e se ne va a mensa esattamente come un adulto che sa cosa deve fare.
Quando con i bambini si costruisce (parlo di scuola e famiglia, soprattutto) senza mollare un giorno, loro danno molto di più di quanto ci aspettiamo.
Quando non si costruisce, invece, diamo il via alla distruzione di quel poco che in autonomia riescono a fare guardandosi intorno.
Mi dà l’idea che tutto ciò che ispiriamo, in positivo o in negativo-passivo, sia direttamente proporzionale ai comportamenti: loro lo moltiplicano in relazione al nostro impegno.
Purtroppo non diamo importanza alla loro autonomia nel gestire le loro risorse e così a volte “non riconosciamo” in alcune azioni i nostri figli.
Ma lo stupore, quando fanno qualcosa di meraviglioso, è un “non riconoscere”, esattamente come quando fanno qualcosa di terribile. Ci fa forse comodo pensare che valga solo nel primo caso.
In realtà dovremmo fare sempre una scannerizzazione del nostro insegnamento (attivo o negativo-passivo) perché dà sempre risultati amplificati, nel bene e nel male.
Cosa ho imparato?
Che a dicembre, all’impegno di un gruppo di maestre, stanco, ma pensato e ripensato, corrisponde un regalo di Natale inaspettato.