Ultima modifica 20 Giugno 2019
Oggi è uscito un nuovo articolo, come una primavera in anticipo… sulla mamma homeschooler che istruisce ed educa i suoi 5 figli a casa, perché a scuola, con questi compiti e queste pagelle, non se ne può più.
E certo. E certo. Delle pagelle non ne posso più anch’io… pensa un po’.
Andiamo al punto: chi tiene i figli a casa a studiare dovrebbe avere ben altre motivazioni tipo la numerosità delle classi, la mancanza di tecnologia e arredi adeguati, la mancanza di continuità degli insegnanti che cambiano di stagione in stagione: la muta degli insegnanti … come le foglie, sugli alberi, d’autunno, è una delle malattie più gravi per la scuola.
Ma caspita, no!
Lei, la homeschooler più famosa d’Italia, tiene i figli a casa per la questione dei compiti e delle pagelle.
Ognuno fa le sue scelte migliori. Sempre.
Però se mi riduce la scuola ai minimi squallidi termini che sono lo 0,01% del mio lavoro, allora insorgo.
Se il mio lavoro diventa assegnare i compiti e riempire di numeri schede di valutazione allora, perdonatemi, parlo.
Vorrei raccontarle un semplice lunedì mattina, in cui un’insegnante si sveglia (come il leone e la gazzella di Aldo Giovanni e Giacomo) alle 5.30 “sì sì, stamattina è il momento per quel problema che ho pensato la scorsa settimana, ma prima faccio dire le tabelline, perché venerdì non ho fatto in tempo a sentire tutti… e ci sono rimasti male, perché le avevano studiate....” mentre sveglio una, vesto l’altra, spremo arance, affetto prosciuttopermerenda, sciroppo e antistaminico, lava i denti ecc….
Fin qui più o meno siamo alla pari: capisco che l’emozione di una mamma che si sveglia al mattino (come il leone o la gazzella) sapendo che insegnerà qualcosa ai suoi 5 figli, può essere simile alla mia.
Ma poi tutto cambia. Poi vinco io 3 volte.
Una: arrivo a scuola e i bambini, uno dietro l’altro, a gruppetti o da soli mi passano davanti: sorridono, sono seri, raccontano o mi abbracciano, corrono o trascinano lo zaino.
“Maé le tabelline?”
Sono le prime volte che le snocciolano. “Sì ma certo, ora ve le chiedo” Tanto impegno merita ascolto puro.
Il compito Studia tab 3 ha toccato corde diverse dalle solite: imparare a memoria calcoli è nuovo, è difficile, è un ostacolo e lo superiamo insieme, pure con le famiglie.
Due: Bene, cara homeschooler, l’emozione di sentire quelle vocine emozionate, coccolate dal silenzio degli altri, riempie il cuore.
Gli altri, che ascoltano, sanno che è difficile cercare quei numeri nelle stanzine della mente: gli altri.
Esatto, gli altri che stanno in silenzio perché mi considerano anche se non sono fratello, anche se non c’è mamma.
Gli altri con cui imparo a vivere, convivere.
Ah certo che se stiamo a guardare trucco e parrucco della scuola italiana… ah, staremmo tutti a casa col nostro thè al gelsomino, davanti ad un bel tablet e la luce giusta.
La cosa sorprendente, e oggi mi prende proprio su una giornata buona, è che a scuola accadono cose… che a casa no. A casa no.
Tre: Accade che di fronte agli altri una dolcissima bambina non riesca a dire la sua tab3.
Accade pure che da sola, con le sue manine rosa, prenda il suo pesante coraggio, perché la sa, e con quegli occhi dritti e trasparenti “Io ieri la sapevo” e la dice proprio lì di fronte a tutti, scandendo i sorrisi di tutti.
E queste sono scene, mia cara homeschooler, che mi pagano 10 mesi di stipendio. Scusa ma certe scene da casa…col binocolo.
Nooo, non parlo mica di sentire una tabellina, ma di assistere ad una perfetta, aurea, unica conquista del sé non tra le mura di casa, ma nel mezzo di una comunità che non sempre perdona, non sempre è benevola, non sempre ama… come la mamma e i fratelli.
E non sto a dire dei lavori di gruppo o di coppia con compagni diversi che ti stimolano, ti inquietano, ti fanno sentire meglio o peggio. Quelli che ti mostrano la vita, così com’è. Quelli che ti mostrano, con le insegnanti, che spesso non te la puoi aggiustare.
Ora, i suoi figli saranno sicuramente più sereni e istruiti di una chiassosissima classe di bambini di 8 anni che non vedono i genitori dal mattino al pomeriggio alle 17, ma le assicuro che la vita che passa in una classe vale la pena di essere toccata, accarezzata, lottata, riconquistata dopo una malattia.
La farei parlare con qualche bimbo dei nostri che, quando sta male, sta male 2 volte: una per la febbre e una perché vorrebbe venire a scuola per starci.
Compiti e pagelle… glielo lascio credere.
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Troppo facile giudicare da fuori. Ci sono bambini un pò diversi dalla media, che NON sono seguiti nè accolti (per mancanza di formazione e personale) dalla scuola. Per non condannarli alla “differenza” , alla marginalizzazione e all’infelicità, l’unica scelta è scegliere i gruppi di homeschooling (dove non manca nè la socialità nè l’accoglienza dell’individuo).
P.s.ah, io ho un bambino normodotato che va alla scuola pubblica.
Francesca scusa ma l’articolo di Repubblica mostra un giudizio falsato di una scuola pubblica che può avere tutti i problemi del mondo, ma nelle realtà buone (e sono tante) va riconosciuta. Se mi riduce la vita scolastica a voti e compiti non sono io che giudico. Solo questo.